Giovanni Benelli. Un pastore coraggioso e innovatore

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Il cardinale Giovanni Benelli, arcivescovo di Firenze dal 3 luglio 1977 al 26 ottobre 1982, è stato una figura di primo piano nella Chiesa del post-Concilio, come emerge dalle testimonianze raccolte da Antonio Lovascio nel trentennale della morte. Considerato ‘la mano destra” di Giovanni Battista Montini: suo segretario particolare in Vaticano nel periodo pacelliano; poi, per dieci anni, come Sostituto alla Segreteria di Stato, dove la quasi ventennale esperienza diplomatica nelle Nunziature ha sicuramente contribuito a dare un’impronta di internazionalizzazione al Pontificato di Paolo VI. Protagonista di due Conclavi, Benelli ha servito fedelmente anche Giovanni Paolo I e Giovanni Paolo II. Coraggiose le sue battaglie contro il divorzio e in difesa della vita. A Firenze ha lasciato il segno la sua Visita Pastorale innovativa.

«Un uomo che ha servito la Chiesa senza mai servirsi di essa»
DI ANTONIO LOVASCIO

A  trent’anni dalla morte (26 ottobre 1982) risulta più facile inquadrare la vera dimensione religiosa di uno degli attori più creativi, determinati e discussi del travagliato post-Concilio, come è stato il cardinale Giovanni Benelli; che, con la prematura chiamata del Signore, ha interrotto bruscamente, a soli sessantuno anni, la vita terrena e il suo intenso seppur breve ministero pastorale a Firenze, dove non si è mai stancato di predicare e pretendere dai suoi preti e dai laici di «marciare uniti nella carità». Non disdegnando di farsi discepolo del suo popolo per meglio servirlo. Gli storici nei prossimi decenni ne approfondiranno meglio la figura, studiando i corposi dossier degli archivi segreti. Ma intanto i suoi contemporanei e le generazioni più giovani, attraverso l’esercizio della memoria possono rinnovarne l’esempio e analizzarne la linea pastorale, in tutte le sue sfaccettature. Spero di poterli aiutare, con questa mia rilettura della vita e dell’opera benelliana, che parte da una domanda. Che vescovo e apostolo di Cristo è stato Benelli? «È stato un uomo che ha servito la Chiesa, senza mai servirsi di essa». Con scultorea sintesi Giovanni Paolo II lo ha consegnato alla storia; ma il suo giudizio ci esorta a continuare a rendere merito a questo pastore generoso, che alcuni vaticanisti – segnalandolo tra i papabili e poi tra i protagonisti nei due Conclavi del 1978 – con sottile ironia chiamavano «Sua Efficienza».

Decisionista? Un «uomo del fare» – piuttosto – dotato di solida cultura giuridica e teologica, innestata – qualcuno si stupirà – su interessi letterari coltivati nel seminario di Pistoia leggendo «Il Frontespizio»; arricchita soprattutto da una forte tensione interiore. Ricchezza spirituale non da tutti colta – specialmente da chi scambiava la sua operosità come brama di potere – nei lunghi anni trascorsi nella diplomazia vaticana (in sedi di assoluto prestigio: la Francia di Charles de Gaulle, dove ha conosciuto Jacques Maritain; in Spagna durante la dittatura del generale Franco; in Africa, che ancora lo considera «amico»); al fianco di Paolo VI come sostituto alla Segreteria di Stato. Infine durante l’esperienza episcopale fiorentina, da molti osservatori vista come tappa di passaggio prima di un rapido ritorno nei Palazzi Apostolici, che evidentemente non rientrava nei piani di Dio.

In questa «rivisitazione» – condotta con l’aiuto di testimonianze dirette, rileggendo la sua Parola e i miei appunti degli anni passati alla guida della redazione fiorentina di «Avvenire» e in Consiglio pastorale – affiorano connotati nuovi di un’azione episcopale caratterizzata, sì, da un forte dinamismo (quasi presagisse un trapasso precoce e volesse guadagnare tempo) ma attuata con intelligenza acuta e lungimiranza; oserei dire: senso profetico. Soprattutto nel segno della fedeltà e dell’obbedienza ai suoi pontefici: Montini («padre e maestro»), Luciani («il papa amico»), Wojtyla («il più carismatico»). Un «seminatore» infaticabile, fiducioso nella forza attraente della verità; che si è consumato per servire Cristo. Alimentato da una fede che possiamo definire semplice, robusta e coerente, senza cedimenti, per usare profili che spesso ricorrono nelle parole di Benedetto XVI, eletto alla porpora cardinalizia proprio insieme al compianto arcivescovo. Quella fede da lui presentata nell’ultima omelia come «una decisione personale», ma soprattutto come «una dimensione ecclesiale». Un vescovo scomodo, Benelli. E per questo spesso sotto i riflettori dell’informazione e bersaglio di una parte dell’opinione pubblica. Antimachiavellico nella patria di Machiavelli.

Il suo amore alla Chiesa e alle anime lo ha sempre spinto ad affrontare con coraggio i problemi anche più delicati, senza badare al proprio tornaconto o all’impopolarità. Senza cercare compromessi, ma guardando a ciò che la coscienza gli suggeriva – è stato ad esempio il caso della complessa vicenda del sequestro e della liberazione dei tre cuginetti Kronzucker da parte dell’Anonima Sarda – come scelta giusta e doverosa. Ecco allora farsi promotore, negli anni Settanta, della mobilitazione e delle battaglie contro divorzio e aborto, attirandosi gli strali del fronte cosiddetto radicale e laicista, pur soffrendo per le lacerazioni della società italiana e dello stesso mondo cattolico, già percorso in quegli anni da fenomeni di contestazione e dissenso.

Uomo di passioni e di slanci. Un leader. Un riformatore, aggiornato, chiaro e antiretorico. Sia nel guidare il rinnovamento e la riorganizzazione della Curia romana per adattarla alle direttive del Concilio Vaticano II; sia nel mettersi in gioco a Firenze, felice come un «apprendista» di poter finalmente vivere la sua «pienezza episcopale» ispirandosi ai tre «fari» della Chiesa fiorentina: Elia Dalla Costa, don Giulio Facibeni e Giorgio La Pira; tre «pietre miliari» che tuttora orientano la linea pastorale dell’attuale arcivescovo, il cardinale Giuseppe Be-tori. Modelli incomparabili di vita cristiana per il mondo di oggi.

Trent’anni dopo, con questo «viaggio» nella comunità ecclesiale, riscopriamo un Benelli ancor più riflessivo, che ci colpisce soprattutto per la serenità con cui ha affrontato l’ultimo tratto del suo percorso terreno. Quanti spunti di insegnamento da quel mese di ottobre 1982, dal suo letto di morte! Per il resto, tra le novità, trova conferme la bontà del suo «disegno» episcopale, ancora vivo e attuale. Viene ancora richiamato per l’impostazione innovativa della Visita pastorale; per il rapporto schietto e paterno con il clero, per la «rivitalizzazione» delle vocazioni sacerdotali, per la spinta unitaria data alle associazioni giovanili e ai movimenti del laicato cattolico, al mondo del volontariato. Per le aperture al dialogo con la società (non solo sui temi del rispetto e della difesa della vita, di ogni vita umana) perché ha saputo coglierne non solo la positività delle aspirazioni, ma anche il peso di alcune drammatiche emergenze, come il lavoro, la casa e la droga.

Anche i più critici non si dimenticano che – rifuggendo da ogni forma di sfarzo – Benelli si è privato dei suoi beni personali offrendoli in una vendita di beneficenza, per integrare i fondi e le offerte raccolti per sostenere l’oneroso impegno dell’arcidiocesi in favore delle nuove chiese, dei tossicodipendenti e dei profughi del Vietnam e della Cambogia. La solidarietà, con la fede, è stata infatti uno dei suoi principali paradigmi. E i segni di questa solidarietà sono ancora visibili nei progetti da lui realizzati, o comunque completati e portati avanti dai suoi successori.

A Firenze (città di Dante e Galileo, resa incantevole da Michelangelo, Brunelleschi e dal genio dei più grandi artisti) ha infine rivalutato l’importanza della cultura, già pensando alla trasformazione (ci riuscirà il cardinale Piovanelli nel 1997) dello Studio Teologico in una Facoltà aperta al confronto con le altre Istituzioni universitarie toscane. E un occhio di riguardo ha avuto per le Comunicazioni sociali.

Con Benelli i mass-media hanno recitato un ruolo primario di collegamento con la società. Non solo tramite «Avvenire» o il settimanale diocesano, ma anche con la radio e la televisione. Perché – pur affidandosi alle sue incisive omelie, preparate con cura maniacale, quasi fossero encicliche – ne aveva scoperto l’efficacia nel trasmettere la parola di Dio. Rispettoso delle idee altrui, ma esigente nel chiedere una corretta informazione sull’attività e sui protagonisti della comunità ecclesiale. Informazione che purtroppo anche ai nostri giorni vediamo sovente distorta o enfatizzata. Ecco perché, come giornalisti cresciuti in quegli anni, cerchiamo di tenere ben scolpito nel nostro codice etico il profondo e vibrante magistero del cardinale Benelli, il suo forte testamento spirituale («Fidatevi sempre di Cristo») lasciato – come sintesi di vita e di ministero episcopale – a tutta la Chiesa fiorentina e a quella universale.

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