I romani hanno commesso un massacro nel tempio. L’intento di chi riferisce a Gesù questo avvenimento è cercare da lui un messaggio politico: il Messia che il popolo ebraico aspettava doveva essere un liberatore dal dominio dei romani, oppressori. Gli occhi che guardavano a Gesù come Messia cercavano in lui un dominatore capace di ribaltare, a loro vantaggio, la situazione.
Il problema della storia però non è l’alternanza al potere del male, ma l’alternativa ad esso. Non basta cambiare i protagonisti: bisogna cambiare il gioco. Il cristiano non desidera dominare. Per questo non è in concorrenza con gli altri, con lo stato o con il “mondo”.
Per questo Gesù non ha tanto da dire sulla gestione del potere. Presenta invece, in piena responsabilità, un nuovo modo di vivere: il servizio, che permette quella fraternità che tutti desiderano.
Egli, con la sua testimonianza e con il suo annuncio, offre la salvezza, che si realizza nella libertà dai criteri mondani di dominio; in quest’ottica si comprende la rilevanza “politica” che ha il discorso “pacifista” di Gesù.
Ogni giorno dobbiamo chiederci: “quale tipo di Messia “stiamo aspettando” o vogliamo riconoscere?”
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