Il linguaggio di Gesù era duro. Lo era per i discepoli di Gesù. Il messaggio che dava era difficile da comprendere e accettare: aveva annunciato di volersi fare carne da mangiare e sangue da bere. Aveva detto che avrebbe dato la vita eterna a chi avesse mangiato il pane del cielo.
Per questo, si trovava ad osservare l’incredulità di chi gli stava di fronte e se ne dispiaceva: in cuor suo conosceva il tradimento che avrebbe dovuto subire, la morte che avrebbe dovuto patire, la fatica che avrebbe dovuto fare per convincere gli apostoli che la sua risurrezione non era un sogno o una visione.
Il linguaggio di Gesù è duro anche per noi oggi. Continuiamo, lontani come siamo anche solo dalla possibilità di mangiare il suo corpo, ad essere incerti sul suo messaggio, a non comprenderlo appieno, a metterlo costantemente in discussione perché ci viene ancora troppo difficile metterlo in pratica. Al di là delle manifestazioni esteriori della nostra fede in tempo di quarantena e delle pretese, a volte finte che avanziamo, ciò che ci manca davvero è la consapevolezza del mistero a cui noi abbiamo accesso.
“Signore da chi andremo?” è la domanda che dobbiamo porci. E la risposta sarà: “Solo presso di lui possiamo trovare quella vita che non finisce mai”. Il resto è solo un contorno inutile.
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