Il corpo lotta, fino alla fine. Cerca di rimanere in vita. Poi si arrende all’evidenza dei fatti: ha perso. E china il capo, si accascia. È il corpo a farlo, è quello che chiameremmo attaccamento alla vita, sono reazioni involontarie. Anche Gesù, figlio di Dio, ha queste reazioni. Il suo corpo lotta, vorrebbe vivere.
Il suo corpo ha sete, il suo corpo sanguina. Parla a fatica ai due crocifissi con lui, alla madre, a Giovanni. È un corpo martorizzato che alla fine si arrende e china il capo. Ma questa sconfitta del corpo è il più grande atto di fiducia di tutta la storia dell’uomo: consegna lo spirito. Lo consegna nelle mani del Padre che è pronto ad accoglierlo e custodirlo.
Non è una resa, allora, quel capo chinato! È un’obbedienza del corpo che si lascia andare e che dice: “ok, mi fido, vengo da te.” Tutta la passione di Gesù è una storia di fiducia: si affida al Padre in preghiera nell’orto degli ulivi, si fida dei suoi discepoli anche se sa già che loro lo rinnegheranno (eppure vede nel cuore quel seme per la rinascita, per fidarsi e fidarsi ancora), si fida si Simone di Cirene con il quale condivide un pezzo di strada, di fardello, di dolore.
Si rimette nelle mani dei sommi sacerdoti e del popolo, si fida delle parole del ladrone, si affida a sua Madre. Solo un attimo il suo corpo cede e grida pietà ma un attimo dopo china il capo. Tutto è compiuto. Perché la storia della Salvezza è una storia di fiducia.
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