Don Cocco aveva attraversato l’oceano e accettato di vivere per 17 anni in una capanna in mezzo alla foresta venezuelana, per portare ai Guaicas il dono della fede. Originale il suo modo di essere missionario: più che grandi realizzazioni e conversioni, visse insieme alla sua gente, condividendo con loro tutto, la gioia, la festa, la sofferenza, la fatica del lavoro.
A conti fatti, aveva battezzato quasi nessuno. Solo bambini in punto di morte, qualche ragazzino orfano che sarebbe andato a studiare in scuole salesiane e quindi aveva probabilità di crescere nella fede. Qualche anziano malato da lui sommariamente istruito, e ormai vicino al traguardo della morte. Sembra un insuccesso.
«Certo, io desidero che diventino cristiani, proprio perché voglio loro bene – spiegava -. Per me diventare figli di Dio e fratelli di Gesù Cristo, avere la fede e la carità, è il valore più grande che un uomo possa avere. Per questo desidero tali valori anche per i Guaicas. Ma la prima virtù che il cristianesimo insegna è il rispetto degli altri, e io rispetto la loro coscienza e le loro scelte». Infatti, secondo la loro coscienza e le loro scelte, ancora non erano pronti a diventare cristiani.
«Mio compito fu seminare altri raccoglieranno» diceva don Cocco e così è stato! Grazie don Bosco per i molti missionari che con lo spirito di Gesù annunciano con la loro vita che “È vicino a voi (noi) il regno di Dio”.
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