A Gesù doveva essere molto caro il libro di Giona, perché è una storia in cui l’Amore di Dio si manifesta in tutta la sua potenza di ribaltare la realtà per come siamo abituati a concepirla. Giona predica la conversione ai niniviti senza neppure sperare di riuscire a convincerli, certo che sarebbero stati spacciati. Eppure loro sentono, ascoltano, cambiano la loro vita. C’era in loro un potenziale di bene, di pienezza di vita che lui non avrebbe neppure sospettato. Laddove noi vediamo solo chiusure, Dio intuisce aperture.
Gesù coglie fino in fondo l’esplosivo paradosso, la contraddittorietà imprevista che attraversa tutta la storia di Giona, e le sbatte in faccia alla folla quasi con violenza, per svegliarli. Fatichiamo oggi a percepire la portata delle sue affermazioni, ma in quella società dire a degli ebrei che sarebbero valsi meno dei pagani al giudizio di Dio significava far loro il più tremendo dei rimproveri. Vuole portarli fuori dalle loro logiche umane di sicurezza e rimetterli davanti all’unica realtà che davvero tenga, quella delle sorprese di Dio.
Passiamo la vita a inseguire una nostra idea di giustizia, di perfezione, a preoccuparci di rimanere “dei tipi a posto”, fino a diventare “malvagi”, chiusi a qualsiasi parola che venga da fuori di noi. I niniviti peccatori no, la regina di Saba pagana neppure. Loro non hanno motivo di sentirsi a posto, percepiscono tutta la fragilità della propria posizione. Per questo stanno con le orecchie tese, attenti, alla ricerca di qualcosa di più. Per questo i niniviti appena sono raggiunti dalla parola di Giona gli danno credito; per questo la regina di Saba è disposta ad attraversare mezzo mondo pur di andare a fare a Salomone le domande che la attanagliano.
Ma le regine di Saba e i niniviti che Gesù ci invita a imitare non sono solo fuori di noi: sono anche quelle parti di noi che nascondiamo, che ignoriamo, di cui ci vergogniamo. Tutte le nostre fragilità e i nostri fallimenti, che – schiavi di logiche troppo umane – pensiamo che meritino il giudizio di Dio. Il Signore ci ricorda che è proprio la parte ferita di noi quella che ci spinge a cercarlo ancora e ancora, a non sentirci arrivati e ad ascoltare con più attenzione una parola di salvezza sempre nuova che viene da fuori di noi.
Harambet
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Fonte: Get up and Walk – il vangelo quotidiano commentato