Una discussione accesa che si concluderà con un tentativo di lapidare Gesù. È in un momento di “alta tensione” che dobbiamo collocare queste parole che, in un crescendo di intensità, ci conducono alla definizione dell’Io.
Io dico. Gesù irrompe come verbo fin dal prologo del vangelo di Giovanni. All’inizio di questo vangelo non troviamo l’infante ma una parola che precede la carne, che viene dall’eterno. Quella stessa parola si porrà a servizio delle mani, quelle che guariscono, lavano, tirano fuori dai sepolcri. La parola di Gesù è soprattutto a servizio della vita, vita che vince sulla morte in eterno; siamo cadaveri di morti quotidiane che automaticamente affrontiamo e che la nuova vita promessaci da Gesù non prevede.
Io conosco. Quanti scontri sulla conoscenza! E quante divisioni nella stessa chiesa fondate sulla superbia di conoscere Dio… La conoscenza che Gesù, il Figlio, ha del Padre porta le scottature della preghiera nel deserto e la lenta gestazione in una Nazaret da cui non può venire nulla di buono. Solitudini e fallimenti che gli hanno fatto sentire il battito del cuore di Dio.
Io sono. Quando dalla croce la solitudine sarà assoluta, e con essa misteriosamente la comunione col Padre, Gesù manifesterà nella carne ferita queste parole. Il corpo muto rivela l’Io. Ecco che posso scoprire anche il mio Io in dialogo con l’icona d’amore che l’Io di Dio ha dipinto sul calvario.
Giuseppe Amalfa SJ
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Fonte: Get up and Walk – il vangelo quotidiano commentato