Un sabato. Lo shabat per Israele è il perno della vita di preghiera, tutto di sabato deve essere rivolto a Jahvè, cosa che comporta l’interruzione di qualsiasi altra attività. C’è una saggezza dietro questo precetto, probabilmente da riscoprire per imparare a dare il giusto spazio al riposo e a Dio. Tuttavia già al tempo di Gesù questa nobile prassi si era irrigidita, il normativo prevaleva sull’umano e impediva di cogliere il vero senso del riposo sabatico. Per rispettare la legge non c’era necessità umana che valeva la pena accogliere.
In mezzo. Ecco un bell’intervento nello stile di Gesù: nel cuore del sabato, durante la preghiera in sinagoga, Gesù mette al centro un uomo dalla mano paralizzata. Nel cuore della preghiera è posto un uomo è il suo bisogno. Un uomo e la sua paralisi, forse anche la mia, sono il sabato e gli danno senso. Forse vi si può cogliere anche il senso stesso del pregare: cosa c’è al centro della mia preghiera? Qui è il figlio di Dio che rimette a fuoco le nostre preghiere distratte e ne indica il cuore.
Scambio di sguardi. Un gioco di sguardi incornicia questa guarigione: prima scribi e farisei su Gesù e l’uomo dalla mano paralizzata, poi Gesù che guarda attorno al centro che ha ristabilito dentro la sinagoga: l’uomo e la sua paralisi. Lo sguardo dei farisei è carico di giudizio: Gesù minaccia le loro certezze, i loro centri, meglio liberarsi di chi ti decentra․․․ Gesù non toglie Dio dal centro, pone al centro Dio che guarda l’uomo, proprio lì in ciò che l’uomo ha di bloccato.
Il sabato è vero se ti libera le ali che altri hanno legato.
Giuseppe Amalfa SJ
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Fonte: Get up and Walk – il vangelo quotidiano commentato