Il vangelo di oggi presenta due parti che hanno in comune la folla.
Le folle, prese da stupore. Di fronte alla guarigione di un muto – forza della parola che ritorna a risuonare dentro e attorno al corpo del muto – la folla è stupita. La capacità di meravigliarsi è dei semplici! Semplici che gioiscono in opposizione al sapere dei farisei che non riescono ad entrare in questo stupore. Spesso la presunzione del troppo sapere ci fa vedere cospirazioni ovunque che offuscano di scetticismo quell’intima bontà che traspare in ogni sguardo. Servono invece occhi semplici per non confondere il miracolo con la magia, la salvezza di Dio con un’azione del demonio – un supposto dio mediatore di male.
La folla è stanca e sfinita. L’altra scena presenta la folla stanca e sfinita. Per quale ragione? La durezza del lavoro? La fatica di anelare una guarigione tanto attesa? Ci viene raccontate un motivo insolito per essere stanchi: la mancanza di una guida, di un fine a cui orientarsi come per le pecore in cerca di pascoli. E Gesù, toccato da questo “fine che sfinisce”, si fa pastore e preghiera. Pastore, non tanto come colui che tiene il bastone, ma luogo stesso di cui nutrirsi, il pascolo come immensa tovaglia stesa sul mondo.
E preghiera per la messe, altra immagine presa dai campi, già rimando al pane che verrà, pane che è propaggine delle braccia chiamate alla mietitura. Gesù ci dà una potente istantanea di come il chinarsi sul campo contenga in sé la preghiera del chinarsi all’altare.
La preghiera e il servizio del vangelo perdono forza quando si allontanano dall’intima semplicità che queste ‘folle singolari’ hanno trasmesso a Gesù.
Giuseppe Amalfa SJ
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Fonte: Get up and Walk – il vangelo quotidiano commentato