Il brano del Padre nostro può essere l’occasione per sperimentare la preghiera di contemplazione tipicamente ignaziana.
Una volta entrato nella preghiera, comincio a soffermarmi con attenzione sulle singole parole, o espressioni, o domande, contenute nella preghiera del Signore: cerco di riflettere sul senso delle singole parole e poi allargo alle parole vicine, per comprenderle anche nel contesto in cui vengono pronunciate.
Rimango sul frammento della preghiera ripetendolo, magari sussurrandolo, quasi come una litania, così che possa scendere nel nostro cuore, nella profondità di noi stessi.
Ad esempio, mi fermo su: “sia santificato il tuo nome”. Provo a domandarmi: cosa significa per me, in questo momento della mia vita? Eventualmente lascio che la mia memoria mi suggerisca qualche versetto della Scrittura.
Oppure, cosa chiedo quando dico: “liberaci dal male?” Quale male? Da quale male vorrei essere liberato/a? Che cos’è il “mio” male? E così per tutto il resto, senza fretta.
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Non si tratta di spremere le meningi o sforzarsi di pensare: lo Spirito è sempre soave. Posso semplicemente e delicatamente ripetere molte volte una singola domanda o parola, e attendere che nasca una risonanza. All’inizio può sembrare una cosa stupida o inutile, quando ne faccio esperienza mi accorgo che riserva molte sorprese, basta perseverare.
Non è necessario passare in rassegna tutto il Padre nostro; Ignazio era solito dire che non è il molto sapere che sazia e riempie l’anima, ma il sentire e gustare intimamente. A volte, una parola sola può essere più che sufficiente.
Ottavio De Bertolis SJ
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Fonte: Get up and Walk – il vangelo quotidiano commentato