Gesù, scegliendo la tradizione dell’immagine del pastore per raccontare di sé, idealmente abbraccia tutto il tempo della storia della salvezza, perché si collega al tempo dell’Esodo, a quello dei profeti e alla tradizione sapienziale che si esprime nei salmi. Anche lì si parla di un pastore che conduce a verdi pascoli e ad acque tranquille, il cui bastone dà sicurezza ed è con chi cammina nelle tenebre.
Giovanni crea così lo spazio e l’occasione perché Gesù possa presentare sé stesso alla luce della Scrittura. È il pastore che dona la vita per il gregge. La passione, la morte e la Resurrezione diventano un unico spazio di verità, il luogo della rivelazione della sua persona e del progetto di Dio.
Il Signore dà liberamente la propria vita, lo ripete per quattro volte. Il gesto dell’offerta di sé e quella del servizio (è il pastore che si prende cura del gregge) si sovrappongono e diventano stile e storia.
Questa scelta è però minacciata dalla tensione opposta di coloro che, avendo responsabilità del gregge, non se ne prendono cura, si mascherano e ingannando, disperdono. Due tensioni perciò si contrappongono. Una disperde, l’altra unifica. Sarà quest’ultima a prevalere, questa la promessa che è fondamento della nostra fede, che poggia sulla libertà di Dio, non sulle nostre decisioni e sulle nostre scelte.
In tempi di prova come questi, abbiamo bisogno di parole di conforto e di sostegno. A volte noi ci sentiamo come un gregge senza pastore… ma non lo siamo: il nostro presente e il nostro futuro sono tra le mani di Colui che, dando sé stesso, ci ha mostrato che al di sotto di ogni pena e di ogni affanno, nel segreto della vita che prosegue, c’è il suo abbraccio.
Diego Mattei SJ