Da un punto di vista narrativo, i personaggi di questa storia del Vangelo sono abbozzati, quasi statici. Eppure, magari con un po’ di meditazione contemplativa, si può ricostruire qualche dettaglio in più.
Innanzitutto, Giovanni. Giovanni che ha deciso di essere voce nel deserto, di gridare ciò che è giusto anche a costo della vita. Non deve essere stato facile, da essere umano, vincere la paura della morte e decidere di ascoltare solo la voce che gli diceva di andare avanti, di non temere le conseguenze perché la ricompensa sarebbe stata grande.
Poi Erodiade e sua figlia. Una figlia che danza, agisce, ma non desidera nulla se non quello che le dice la madre, la voce della sua coscienza è assente, delegata a una madre che odia, che teme per la sua posizione e segue la voce della paura, che vuole eliminare tutti gli ostacoli davanti a sé per stare al sicuro, per mantenere il controllo e il suo potere.
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E infine, il dramma di Erode: è perplesso, teme Giovanni e ne è affascinato, il suo cuore si dibatte tra la paura di qualcosa che potrebbe ribaltare la sua vita e la gioia di ascoltare una voce diversa, più autentica. E, ancora, la voglia di fare un dono generoso e la paura di sfigurare di fronte ai commensali. Tra queste voci interiori che lo sballottano, quella che gli dice di ascoltare Giovanni è quella che lo fa stare bene, e quando la tradisce quindi diventa triste.
Ecco che anche noi allora possiamo esaminare le voci che ci dividono, immaginare dove ci porterebbe seguire quella che alimenta la paura e dove quella che parla di gioia.
Gloria Ruvolo
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Fonte: Get up and Walk – il vangelo quotidiano commentato