Ci sono due tipi di stanchezza. Quella positiva, che a fine giornata ti rende soddisfatta/o dell’impegno e del lavoro messo in atto, e quella negativa, che non ha una direzione, che serve solo a sopravvivere un giorno alla volta. Ingabbiati in questa società della performance, la seconda è la stanchezza più diffusa, probabilmente, perché il nostro lavoro (da labor, fatica) è spesso slegato dai nostri obiettivi più profondi.
È quindi innanzitutto bello sentire la compassione di Gesù verso la nostra stanchezza, i suoi occhi comprensivi che guardano, e capiscono, il nostro vagare senza meta. Siamo sfiniti e lui lo sa. Ed è da duemila anni che recluta operai per noi, tutte quelle persone che si sono sbilanciate nella fede, che gli hanno permesso di giungere fino a noi, grazie ai quali lo ascoltiamo ancora dopo millenni.
A ognuno vengono in mente quelle persone, i genitori, il parroco, la catechista, l’amico, che hanno deciso di trasmetterci attraverso azioni e parole il tuo amore, che hanno a loro volta appreso da altri. E allora forse la grazia più utile da chiedere non è solo un gran numero di vocazioni sacerdotali (comunque preghiera fondamentale da condividere con tutta la Chiesa), ma anche la possibilità di diventare noi quegli operai ispiratori, di provare quella stanchezza positiva, significativa, di chi segue un obiettivo più grande di se stesso. Perché allora non avrà importanza la meta finale, ma quello che facciamo (e come lo facciamo) strada facendo, insieme alle persone a cui potremmo, anche noi, trasmettere la tua compassione.
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Gloria Ruvolo
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Fonte: Get up and Walk – il vangelo quotidiano commentato