Ci sono due uomini che salgono al tempio.
Nei loro cuori c’è un’idea di Dio. Come in ognuno di noi dentro la loro storia si è poggiata la Parola eppure quella stessa parola passa per due sguardi diversi.
Il primo ha sempre cercato Dio, sguardo alto e sicuro, convinzione e fermezza, presunzione e abitudine; lo ha trovato nelle cose, nei riti, nei gesti, nella ripetizione di preghiere e penitenze che con il tempo sono diventate solo parole. Non ha sbagliato un colpo, il fariseo, e se ne vanta, ne va fiero, ed è vero che ad un primo sguardo la sua fede quasi luccica. Eppure ha commesso un errore: attribuire a queste cose la propria salvezza. Sembra quasi pretenderla, quella salvezza, come dire a Dio: “ho fatto tutto questo: me lo devi.” Non c’è più il cuore. C’è un rapporto che è diventato sterile abitudine, facciata, è un monologo.
Ma l’amore di Dio non si compra.
Dall’altra parte un pubblicano sale al tempio, e ogni passo di quella salita lo vive come quello di un intruso. Tiene nel cuore la parola, come un bambino a cui è stato messo per pochi secondi in mano un oggetto prezioso, e ne sente la responsabilità e al tempo stesso il timore di romperlo, eppure vive l’attrazione della bellezza di quell’oggetto, l’unicità di quel momento. Il pubblicano ha nel cuore solo Dio, non ci sono i gesti, non ci sono le parole che non sa dire, i modi, i riti che non ha mai imparato. Eppure egli sa․․․ “La salvezza non si controlla”.
Non sono le cose che ci salvano, ma è la fede. È l’amore di Dio, l’amore che lui sale a chiedere al tempio con il suo peso nel cuore e gli occhi bassi. La sua unica parola è “pietà”. Forse in quell’unica pronuncia si compie il miracolo di un figlio che, nonostante tutto, seppur coperto di vergogna, sente nel cuore di poter tornare al Padre e che quel padre non si volterà dall’altra parte.
Pietre Vive (Roma)
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Fonte: Get up and Walk – il vangelo quotidiano commentato