Dopo avere inviato i dodici, dopo avere compiuto molte guarigioni, dopo aver nutrito la folla condividendo pani e pesci, anche Gesù ha bisogno di uno spazio suo, di silenzio, di preghiera. Dopo tanto relazionarsi al di fuori, ha bisogno di relazionarsi con sé stesso e col Padre.
Fare il punto, trovare (anzi cercare, un passo oltre) la propria identità.
E, come spesso accade, il tempo di silenzio porta più domande che risposte.
Cercarsi negli altri, come guardandosi allo specchio, per scoprire se quello che noi vediamo è anche quello che vedono gli altri. Chi sono io per te? La risposta della folla è quella del già visto, già passato. La risposta di Pietro, invece, segna più un’aspettativa: io ti seguo perché in te riconosco l’unto, il prescelto di Dio (dal gr. khristós “unto”, a sua volta traduzione dell’ebraico māshīaḥ, attributo dei sovrani eletti da Dio). Qualcuno di importante, che farà cose importanti e che sarà riconosciuto in quanto tale.
Ma la preghiera di Gesù ha riportato un riflesso diverso: è qui che si svela il piano di Dio, qui che si rovescia la prospettiva della fede. Non un re, ma un figlio. Non qualcuno che verrà glorificato, ma che verrà umiliato, ultimo fra gli ultimi, per accoglierci tutti e ciascuno. Quanto ci vorrà, Pietro, per comprenderlo davvero?
Francesca Carraro
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Fonte: Get up and Walk – il vangelo quotidiano commentato