Gesù pone una domanda che parte da lontano. Germoglia nel terreno della solitudine e viene rivolta ai discepoli: il Signore chiede cosa pensi di lui la folla. La folla: il quesito compie un passo in avanti, emerge dal silenzio e interroga circa il pensiero delle altre persone. I discepoli rispondono. Gesù incalza. Ma: la congiunzione avversativa segna il superamento di un confine; stavolta il quesito pone la propria mano sulla spalla dell’apostolo e chiede un coinvolgimento in prima persona. Pietro fa la professione di fede.
Attraversa i secoli e giunge fino a me: cosa dice oggi la gente di Gesù, chi è lui secondo e per me? Anche oggi sento circolare diverse interpretazioni circa la sua persona. Varie voci la definiscono in vario modo illuminandone o nascondendone qualche tratto. Divento consapevole, allorché resto da solo in compagnia della domanda rivolta a me, che la sua persona la vado scoprendo poco per volta, scavando all’interno della vita e del legame con lui. Passano le ore, i giorni, i mesi, gli anni, e mi rendo conto che la comprensione di Gesù racimolata nel tempo è incompleta. Chiede altri passi.
Il rifiuto, la condanna, il dolore e poi la risurrezione: in poche battute le parole dipingono il quadro di ciò che sarebbe stato di lui. La vicenda di Gesù diventa cifra della mia umanità. Anche oggi il Risorto è accanto a me, pone la domanda e mi affianca nelle morti e nelle resurrezioni, è alleato della mia umanità. La umanizza, mi rende sempre più umano. Essere umano è un compito in due, condiviso col Signore – può sedere accanto a me perché anche lui ha pagato sulla propria pelle il fatto di essere umano.
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Carmine Carano SJ
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Fonte: Get up and Walk – il vangelo quotidiano commentato