Due uomini occupano lo spazio del racconto di Gesù. Sono entrambi collocati all’interno del tempio, luogo di culto che potrebbe suggerire pensieri di incontro; eppure sono distanti. Il primo, un fariseo, tiene lo sguardo fisso su quelle che ai suoi occhi appaiono possibilità diventate poi successo grazie al proprio lavoro.
Ha faticato immergendosi nelle possibilità di bene che intravedeva e ora si pone nello spazio separato da altri: le possibilità realizzate, secondo la sua prospettiva religiosa, diventano ragioni valide per escludere altre persone e escludersi dall’occasione di pensarsi umano legato ad altre e ad altri per il solo fatto di essere tale, appunto umano.
La mia relazione con la religione può diventare un appuntamento in una torre d’avorio, dall’alto della cui finestra mi affaccio e saluto le persone ponendo una distanza infinita. E a essere escluso sono io: più che umano con altre e altri, mi scopro privato della comunità.
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Il secondo uomo è un pubblicano: l’uomo che mendica vita ai margini della retta via. Almeno così sembra. Ha il capo chino, si batte il petto. È capace di porsi in ascolto del limite: si scontra con un’esperienza di confine che, piuttosto che provocare una chiusura autodistruttiva, lo apre al dialogo con un tu. Forse, dal fondo del tempio, oltre che conversare con Dio, avrà pregato anche per il fariseo. Il confine è un fiume che, mentre lo guado, mi fa capire che non vivo da solo.
Possibilità che si dischiudono senza invadere tutto lo spazio, possibilità che incontrano il confine sono i lineamenti che descrivono l’appuntamento con un’umanità condivisa.
Carmine Carano SJ
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Fonte: Get up and Walk – il vangelo quotidiano commentato