Il vangelo getta una bella luce sul perché delle disgrazie, degli incidenti che drammaticamente pongono fine alle vite delle persone o le lasciano in condizioni critiche.
Al tempo di Gesù si pensava di leggere questi eventi come punizioni divine per i presunti peccati dei colpiti dalla sventura, ma il Signore rompe con questo modo di pensare: le sciagure non le manda il Signore per punirci. Sono eventi che dovrebbero spingerci non tanto a chiedere perché, quanto piuttosto a trasformare il quesito in: come potrei io oggi essere di sostegno e conforto a coloro che sono vittime di tali situazioni? Non siamo ancora in paradiso e la creazione, così come le nostre persone, sono coinvolte in una fragilità che porta a sconvolgimenti naturali e personali. La creazione vive le sue doglie e sempre i suoi dolori diventano anche i nostri! Cosa fare allora?
Cercare di essere fecondi, di alleviare attivamente o con la preghiera le sofferenze del nostro mondo. Tessere una rete fattiva virtuosa (anche virtuale) di comunione, perdono, accoglienza e solidarietà! Forse non ci rendiamo conto, ma è questa impalcatura d’amore che permette al mondo persistere e di andare verso il compimento. Certo, visti gli ultimi drammatici eventi è facile scoraggiarsi, sembra più semplice dire che tutto va a catafascio, che non c’è più speranza, meglio tagliare l’albero alla radice…
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Ma il Signore Gesù ci invita a entrare in contatto con la sua pazienza, con la sapienza di un agricoltore che non cede alla tentazione di abbandonare le parti meno fertili della creazione. Se ci pensiamo bene, fa così anche con noi: non taglia ciò che ci regala la sterilità – ma con il suo intervento, e la nostra collaborazione, possiamo fare esperienza di una nuova e inedita fecondità.
Narciso Sunda SJ
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Fonte: Get up and Walk – il vangelo quotidiano commentato