Una madre che ha appena ricevuto la notizia più stravolgente di tutte ha bisogno di una posizione comoda: per disporsi a metabolizzare, per recuperare forze. Avere cura di sé e della vita che le cresce dentro. E Maria si alza e si mette in cammino, in fretta: ha cura di sé e di quella vita, seme appena accennato, scegliendo di non trattenerla per sé, ma di portarla a chi la sta aspettando.
Sguardo libero, gambe pronte a faticare: la vita ci cresce dentro perché sia messa a servizio, senza temporeggiare. Non c’è posto per avidità o timori: il desiderio di comunione, la sete di testimoniare l’incontro col Dio della vita riempie ogni spazio. Se l’infinito ci visita, non possiamo che sognare di assomigliargli: rendere feconda la visita, di dono in dono. È un tutt’uno.
Serve poco, solo essere semplici: arrivata in casa di Elisabetta, Maria le porta il suo saluto, nient’altro che un augurio buono. Basta l’essenziale, e lo Spirito riconosce lo Spirito: la vita accolta parla alla vita attesa. Elisabetta dà un nome alla storia: benedizione. Dire bene, partecipare alla gioia di Maria, e in essa scorgere Dio dal fatto che ogni suo frutto invera il frutto che gli cresce accanto: il bambino di Elisabetta sussulta di gioia. La vita si spande.
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La beatitudine di Maria è un’attitudine da piccoli: sapersi affidare, dare credito alla Parola del Padre. Riscoprirsi figlia. Per essere generativi occorre vivere da figli.
Melania Condò
Rete Loyola (Bologna)
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Fonte: Get up and Walk – il vangelo quotidiano commentato