Il criterio per la vita eterna è chiaro: prendersi cura dell’altro. Quando recuperiamo la consapevolezza che l’essere umano dispiega sé stesso nella relazione con i suoi simili, con i suoi pari, lì accade la pienezza. L’essere umano diventa se stesso riconoscendo gli altri come esseri umani. Quando, per qualsiasi motivo, ci sottraiamo a questo riconoscimento reciproco, perdiamo umanità. Non è solo questione di essere cristiani: è questione di essere umani!
Nel giorno in cui commemoriamo i nostri cari defunti, possiamo ricordare i loro volti, i loro sorrisi, il bene che ci hanno voluto, il bene che ci hanno fatto, magari senza neanche saperlo. Nel ricordarli, forse anche con una lacrima sul viso, implicitamente o esplicitamente riconosciamo quanto importante sia stata quella relazione per la nostra vita. Ovvero, quanto quella relazione abbia contribuito a far fiorire la nostra umanità. Nella relazione con quella persona cara, che ora non c’è più, la sua umanità è divenuta parte della mia, il suo modo di amare ha plasmato il mio modo di amare. È la sua eredità per noi.
È così che i nostri cari vengono assunti nella luce del Risorto e vivono nella pienezza: perché custoditi dalla nostra umanità. Ogni volta che lasciamo che questa umanità ci abiti, consolidiamo la loro posizione di salvati perché stiamo riconoscendo che la loro vita non è stata spesa invano. E noi siamo i testimoni viventi del bene che hanno potuto compiere. È così che procediamo di generazione in generazione, salvando e lasciandoci salvare.
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Flavio Emanuele Bottaro SJ
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Fonte: Get up and Walk – il vangelo quotidiano commentato