Nell’istituzione dell’Eucaristia secondo Marco compaiono alcuni dettagli curiosi.
Anzitutto c’è una descrizione dettagliata del modo in cui è preparata la cena. Il che lascia presupporre che l’ultima cena non è stata improvvisata, bensì preparata con cura.
Gesù benedice il pane e il vino pronunciando le note parole che siamo soliti ascoltare durante la celebrazione eucaristica. Non compare tuttavia “per la remissione dei nostri peccati”.
Al termine della cena, Gesù con i discepoli escono e vanno al monte degli ulivi.
Gesù sta costruendo un’esperienza straordinaria e indimenticabile per i suoi discepoli: in effetti, l’ultima cena è il fulcro della nostra fede.
Ma cosa sta facendo vivere Gesù ai suoi discepoli? Per l’essere umano, il cibo non è solo questione di nutrimento biologico. È anche un fatto antropologico. Condividere la mensa è un rito sociale che costruisce comunione. Preparare l’ambiente, cucinare il cibo, imbandire la tavola sono gesti attraverso cui le persone costruiscono insieme e reciprocamente l’essenza umana.
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Gesù assume la quotidianità di questo gesto, facendo identificare il suo corpo e il suo sangue con pane e vino. Con questa coincidenza, sta dicendo che lì dove sperimentiamo la vera umanità c’è anche lui. In questo modo lega in modo definitivo quella cena al suo ricordo.
Subito dopo la scena cambia nel Getzemani: lì i discepoli potranno vedere in azione l’essenza umana che l’ultima cena ha attivato. Alla fine, essere umani e essere discepoli di Gesù è la stessa cosa. Può sembrare una cosa da poco. Ma quanti guai in meno ci sarebbero se ne fossimo più consapevoli!
Flavio Emanuele Bottaro SJ
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Fonte: Get up and Walk – il vangelo quotidiano commentato