“Tu, chi sei?”: la domanda che sacerdoti e levìti rivolgono a Giovanni è una domanda tanto legittima quanto inappropriata. Fosse facile rispondere! Come se uno lo sapesse in modo inequivocabile. Se ponessero a te la stessa domanda sapresti rispondere senza esitazione? Ogni tentativo di risposta sarebbe inadeguato.
Questo perché quando ci definiamo, lo facciamo, spesso inconsapevolmente, all’interno di un campo relazionale dentro il quale viene formulata a domanda. Anche quando abbiamo la pretesa di definirci in modo assoluto, lo facciamo sempre implicitamente a partire da un sistema di riferimento. Non esiste una definizione assoluta di noi stessi. Da qui nascono malintesi e ambiguità, quando ciascuno parla a partire dal proprio sistema di riferimento e non coglie che l’altro sta ascoltando a partire da un altro punto di vista.
Giovanni nel pieno della sua consapevolezza blocca in partenza questo malinteso. Attraverso risposte per negazioni successive: non sono il Cristo… non sono Elia… non sono il profeta, smonta le precomprensioni dei suoi interlocutori e li costringe a riformulare la loro domanda. Non più “Chi sei tu?”, bensì: “Cosa dici di te stesso?”, dove è più chiaro l’invito a specificare anche il sistema interiore a partire dal quale Giovanni si comprende.
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Ora Giovanni può presentarsi, rivelandosi a partire da come lui si comprende, non da come gli altri vogliono inquadrarlo. Giovanni “sa” chi è di fronte alla gente perché “sa” collocarsi di fronte a Dio. Nella consapevolezza del suo essere, diventa libero di essere ciò che è. E come dice l’etimologia del suo nome, questo è dono di Dio…
Flavio Emanuele Bottaro SJ
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Fonte: Get up and Walk – il vangelo quotidiano commentato