L’invettiva di Gesù ci coglie di sorpresa. Non ci aspettiamo che rimproveri delle città e, tantomeno, che rivolga parole di fuoco a Cafarnao. Qui due coppie di fratelli lo avevano seguito abbandonando le reti sul bordo del lago, qui un centurione aveva stupito Gesù con la sua fede, qui molte persone avevano portato a lui dei malati e lui li aveva guariti…
Come mai ora Gesù paragona Cafarnao a Sodoma e Gomorra, città distrutte per la violenza usata contro gli ospiti?
La predicazione di Gesù doveva aver provocato una divisione nella città, tra chi lo aveva accolto con fede e chi era rimasto indifferente. Una barriera invisibile separava gli abitanti. La vita degli uni non toccava la vita degli altri.
Un uomo, che per la sua mano inaridita era rimasto ai margini, ora si trovava al centro. La sua gioia, la sua dignità ritrovata, non significava nulla per altri cittadini. Questi non riuscivano a sorridere, a dire una preghiera di ringraziamento, davanti a una moltitudine di malati guariti. Avevano deciso nel loro cuore che tutto è corrotto, che l’esistenza è un correre a precipizio verso la morte. Gesù nel suo appello dice quello che essi hanno già deciso dentro di sé.
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Qual è lo stato di salute della nostra città? Riusciamo a godere del bene gli uni degli altri?
Stefano Corticelli SJ
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Fonte: Get up and Walk – il vangelo quotidiano commentato