Quando l’angelo Gabriele interrompe Zaccaria, mentre svolge le sue funzioni sacerdotali, incontra un uomo che un giorno aveva sperato, aveva desiderato e pregato di avere un figlio da sua moglie Elisabetta, che era sterile. L’uomo che Gabriele incontra, però, non è più l’uomo di una volta, ha smesso di sperare e di pregare, si è ritirato nella sua ritualità sacerdotale, forse anche stanca e ripetitiva.
Quando l’angelo Gabriele gli annuncia che Dio ha esaudito la sua preghiera, è lui stesso che non crede più a quella preghiera, non abita più quello spazio di desiderio. La parola della sua preghiera è diventata sterile perché non ha più nessuna ragione di sperare e di desiderare qualcosa da Dio. Eppure l’angelo dice «Non temere, la tua preghiera è stata esaudita». È Dio stesso a ridare vita a quella parola di speranza, a un cuore ormai comprensibilmente e ragionevolmente chiuso in un’abitudine rassicurante.
«Come potrò mai conoscere questo?» risponde Zaccaria. Sembra la risposta di Maria a Gabriele poco più avanti, ma non lo è: perché non è il come (può succedere questo) l’oggetto della sua domanda… è che non c’è più la domanda. Non c’è più nemmeno il desiderio e la speranza del giovane Zaccaria nell’anziano sacerdote del tempio. Per questo resta muto, perché alla parola di Dio sulla sua vita, non sa che rispondere. Deve prima ritrovare la storia delle sue parole a Dio, delle sue preghiere e delle sue speranze, per poter ascoltare la risposta di Dio nell’angelo e poter quindi cantare felice alla nascita di Giovanni: «Benedetto il Signore Dio di Israele».
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La promessa di vita irrompe come una marea in una steppa dove la vita è diventata una serie di riti sterili che proteggono il cuore dalla “di-sperazione”. La promessa di Dio seminata nel passato deve ricominciare a crescere come un germoglio fragile e così le parole umane ritrovano il modo di dirigersi a Dio con le mani aperte di chi chiede e le mani giunte di chi ringrazia.
Leonardo Angius SJ
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Fonte: Get up and Walk – il vangelo quotidiano commentato