Si avvicina l’ultima Pasqua di Gesù. Alcuni greci vogliono vederlo e si rivolgono a due discepoli che hanno nome greco: affinità che facilitano l’annuncio e la testimonianza.
Gesù si rivela, si lascia vedere accostando due immagini controintuitivamente coerenti: la propria glorificazione e il chicco di grano in terra; la vita amata persa e la vita messa in secondo piano (questo il significato dell’espressione ebraica in questo contesto, più che letteralmente “odiata” nel senso che diamo noi a questo verbo) conservata per l’eternità. Di quale glorificazione parla Gesù?
La gloria di Gesù è un dono ricevuto dal Padre, non è una autoglorificazione. La gloria che riceve Gesù è un frutto della propria donazione d’amore: essa richiede un “terzo” tra Gesù e il Padre, un terzo umano, una “terzietà” creata che Gesù assume e porta al Padre.
Il gesto della Croce è il gesto dell’Amore di Gesù spinto fino al massimo della donazione: quel gesto ha il potere di trasformare il senso della morte per donare vita.
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Ecco quanto è importante che siamo consapevoli del nostro “vedere”: noi spesso vediamo ciò che vogliamo vedere, e comunque sempre vediamo quello che riusciamo a vedere limitatamente a quello ci consentono le nostre paure, i pregiudizi, i blocchi e i condizionamenti che ci portiamo dentro.
Non è esplicitato se i Greci abbiano o meno incontrato Gesù: quei Greci siamo – ora – noi che vogliamo vedere Gesù, e Gesù ci indica il modo di liberare e di correggere il nostro modo di guardarlo.
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Fonte: Get up and Walk – il vangelo quotidiano commentato