La giustizia si pratica, non è una teoria, non è una legge scritta, non è neppure una bella intenzione ma è un rapporto che si vive (o non vive). “Giustizia” ci fa intessere relazioni appropriate, adatte, vitali con tutto ciò che ci circonda, con il creato e addirittura con il Creatore. Attraverso la pratica di questo tipo di giustizia, quindi, noi ci collochiamo al posto giusto all’interno dell’interconnessione del creato come è voluto dal Creatore.
Oggi ci viene detto che sono tre azioni di giustizia particolarmente importanti a collocarci nel giusto posto nella nostra vita; azioni che prima di tutto sono atteggiamenti interiori e stili di vita: l’elemosina, la preghiera e il digiuno, ovvero, le relazioni economiche, il rapporto con l’interiorità, il senso della vita, l’Amore, e il modo di utilizzare le cose. Stiamo parlando – per inciso – di tre grandi aree di rapporti che animano prepotentemente la cronaca e la riflessione culturale anche dei nostri giorni.
Gesù insegna che “praticare la giustizia” riguardo a questi tre ambiti di vita non funziona, cioè non ci ottiene ciò per cui la pratichiamo, non ci colloca al giusto posto nella vita e nella creazione, se li viviamo per ottenerne un beneficio in termini di riconoscimento, di onore, di status sociale, di vanto. Le tre grandi relazioni vitali, infatti, non ci portano a rivolgerci dentro di noi ma a donare noi stessi fuori di noi. In altre parole, praticare la giustizia significa immettere quell’amore con cui siamo amati da Dio («il Padre tuo che è nel segreto») nel mondo attorno a noi, in maniera sempre più “integrale”.
Andrea Piccolo SJ
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Fonte: Get up and Walk – il vangelo quotidiano commentato