Madre. Questa parola ricorre così spesso. Evoca tenerezza, ricordi d’infanzia, che effetto ci fa sentirla pronunciare? Questa parola ha il sapore delle storie raccontate nella penombra prima di andare a dormire, di chi veniva a soccorrerci a ogni caduta, ad asciugarci le lacrime, ad ascoltarci e ad abbracciarci.
Ma questo è un luogo di morte, Gesù sta per dare la vita, non c’è spazio per i ricordi, il dolore prende il sopravvento. La madre, le madri, stanno sotto la croce. Siamo portati sotto la croce, a questa sofferenza che è una gestazione. Maria ha il coraggio di stare proprio là dove non ci si capisce niente, nelle cose della vita che sono incomprensibili. È una storia di perdita, questa: la madre perde il figlio, il figlio perde la madre.
Non capisco perché tutto questo, Signore, ma mi fido di te e resto. Sono qui, con te. Queste donne restano, colme di un amore ostinato che si rifiuta di andar via anche quando ormai non c’è più nulla da fare. Non dice nulla Maria, non può fare nulla, semplicemente sta. Sta e accoglie.
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L’amore non sa fare altro che questo, accoglie e si dà. Dalla croce Gesù dà tutto, persino sua madre, per la nostra vita. E proprio sotto questa croce ci scopriamo discepoli amati. Il discepolo che si riconosce amato può accogliere la madre, si lascia amare, si lascia chiamare figlio e impara a sua volta ad amare. Allora nessuna morte è senza senso, se ci consegna all’amore. Da questo punto in poi non si torna indietro: non saremo più soli.
Caterina Bruno
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Fonte: Get up and Walk – il vangelo quotidiano commentato