Perché dovrei andare a presentarmi a un sacerdote se non sono guarita?
Funziona così, per poter uscire dall’isolamento che comporta questa lebbra, qualcuno deve riconoscere che sono guarita. Resto quindi a distanza. Mi confondo nel gruppo di quelli che ti sono venuti incontro. Di quelli che la morte se la portano addosso, una morte visibile nella carne che marcisce e che cade in pezzi. Nelle ferite sempre aperte. Devo rimanere a distanza. Ho preso coraggio e ho lasciato che la mia voce provasse a raggiungerti. Ma non è successo nulla.
Sono bloccata, non posso andare al Tempio in queste condizioni. Non posso stare davanti a Dio e ai miei fratelli così, mi vergogno. Guardo i miei piedi, provo a fare un passo avanti. “Non posso”, continuo a ripetermi. Ma tu mi dici di andare comunque, così come sono, e allora vado. Anche tu sei sulla strada per Gerusalemme. Anche se c’è questa distanza, sarà come fare il cammino insieme, per questo prendo fiducia.
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E all’improvviso, lungo la strada, accade l’impensabile: questo mio confine che è la mia pelle inizia a ricucirsi, si ricompone. Senza questo confine non potevo entrare in relazione con gli altri senza farmi del male. Le mie mani tremano, mi volto indietro nel momento esatto in cui uno di noi, urtandomi, corre verso di te, è un Samaritano, ma i Samaritani non hanno il loro luogo di culto a Garizim? Sei forse tu, maestro, il sacerdote, il Tempio? Gli dici che è salvo nel suo ringraziare, non solo guarito, salvo.
Ringrazio e gioisco quando riconosco che la vita la ricevo da un altro. Mi metto alla giusta distanza, non c’è più distanza. E io riesco a essere grata di tutto questo?
Caterina Bruno
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Fonte: Get up and Walk – il vangelo quotidiano commentato