Un giogo che in realtà non affatica, ma dà ristoro: come può essere che ciò che sta sulle spalle, che ci carica, in realtà diventi non oppressivo?
Sappiamo bene come i pesi della vita, di ogni vita, le situazioni di difficoltà, di delusione, di ingiustizia, di dolore, tendano ad affaticarci, talvolta a sopraffarci. Tendano appunto, a “caricare” sulle nostre spalle quei gioghi, quei pesi, che ci fanno arrancare, che ci fanno camminare a fatica, che talvolta ci impediscono addirittura di alzare lo sguardo. E allora se ne diventa oppressi, stanchi… si giunge quasi a dire in alcuni casi, come il profeta Giona, “meglio per me morire che vivere”.
Gesù vuole inserirsi in queste nostre situazioni per offrirci un giogo, il suo giogo, che in realtà non solo non affatica, ma permette di trovare ristoro. Un giogo che permette di rialzare lo sguardo, di scoprire la novità di vita e di speranza, proprio laddove sembrano sparite dall’orizzonte. Non può che essere il giogo dell’amore, del farsi fratelli, compagni di cammino di vita, di solidarietà, di condivisione.
Ciò che è condiviso, anche la difficoltà e il dolore, diventa luogo in cui con Gesù si scopre una presenza che ama, che si fa carico a sua volta di ciò che pesa. E allora anche lo sguardo non è più basso, non è più solo fisso al passo ormai stanco di chi ha perso la passione per la vita (“tanto non cambia niente…”; “è tutto inutile…”), ma può di nuovo guardare in alto, perché si è a nostra volta “guardati” da uno sguardo di amore e accoglienza assoluti.
Lino Dan SJ
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Fonte: Get up and Walk – il vangelo quotidiano commentato