C’è una grande differenza tra perdere e dare la vita. Il gesto di dare la vita implica l’esistenza di un “ricevente”, per chi diamo la vita ogni giorno? In quest’ottica persino il dolore, il rifiuto, l’assenza, non sono privi di senso, inutili.
La croce può sembrare una sconfitta, un fallimento, agli occhi del mondo, eppure questo è il modo in cui Cristo dà la vita per noi. Salva perché risponde al male con il bene. Muore amando. Vive amando. Gesù prima mette a parte i suoi discepoli di tutto questo perché comprendano e gli stiano accanto in questo passaggio, ma poi si rivolge a tutti. Ci sentiamo rivolgere queste parole.
Se metto i piedi dove li metti tu, posso vederti. Ti osservo e ti ascolto in silenzio. Imparo da te. Rinuncio all’idea di appartenermi, ricevo la mia vita, la mia identità più profonda, da te. Mi perdo invece nell’inseguire con ansia qualcosa o qualcuno che non sei tu. Quando mi perdo è perché forzo il passo, e vado avanti da sola, o perché la paura prende il sopravvento e mi blocca e resto indietro. Ma tu mi aspetti e mi guardi. Non vai avanti senza di me.
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Vorresti portarci tutti con te. A volte fa paura, perché non so bene dove stiamo andando. Ma siamo insieme. Seguirti è fiducia e abbandono, è sapersi ascoltati, è poter chiedere per quello che non so, che non ho. Mi insegni ad accogliere la sofferenza e trasformarla, dando tutto. Scopro così “per chi” sono. E questo cambia tutto.
Caterina Bruno
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Fonte: Get up and Walk – il vangelo quotidiano commentato