«Che hai fatto?», chiede il Signore a Caino e allo stesso modo Gesù chiede conto ai farisei, agli scribi, ai dottori della Legge, a tutti questi bravi fedeli, non ai peccatori – e chiede anche a me: cosa ne ho fatto delle parole di vita che mi sono state rivolte? «Che cosa avete fatto?», chiede Gesù, e risponde: costruiscono monumenti per onorare la memoria dei profeti uccisi dai padri mentre si sporcano le mani del sangue di coloro che ora parlano per conto di Dio, che rendono presente la Parola. Il Battista è già morto, e Cristo, che è la Parola stessa, farà la stessa fine.
Ma quel sangue dalle viscere della terra non è muto e continua a gridare al cielo, proprio quel sangue, quel martirio, parola che significa testimonianza, urla e porta al cielo non solo tante sofferenze ingiuste, ma anche tutti noi, anche coloro che «non sanno quello che fanno», anche chi ha peccato. Quello che pagherà il conto sarà Cristo sulla croce.
Dio è misericordia, non sacrificio, ecco cosa grida al cielo quel sangue, dalla polvere di cui siamo fatti, quella vita che in noi non può essere messa a tacere. O peggio, controllata, decontestualizzata, travisata. Forse questo sangue ci fa paura, questo spreco che è amare, questo perdere il controllo della propria vita per consegnarla a un altro. Allora, piuttosto che cambiare, sembra preferibile farla fuori, questa voce.
Ognuno si difende come può, c’è chi nell’altro non fa che cercare e trovare conferme ai propri sospetti, chi cerca pretesti, chi chiude le porte pur di non vedere cosa ha dentro e butta via le chiavi, vivendo nell’ipocrisia… Sembra impossibile uscire da tutte queste forme di autosabotaggio e disamore, fin quando il meccanismo si spezza e accade l’impensabile: Cristo, ultima profezia, quell’amore che “ho dovuto ammazzare”, alla fine, salverà proprio me.
Caterina Bruno
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Fonte: Get up and Walk – il vangelo quotidiano commentato