Può sembrare una cosa ovvia, il fatto che uno scelga delle scarpe che non gli stiano strette o che feriscano le caviglie, ma noi ragioniamo spesso come la protagonista di questo film. Ci accontentiamo. Ci abituiamo ai nostri inferni personali, impariamo a convivere con una certa quantità di dolore e di sofferenza, di infelicità.
Gesù si comporta invece come il commesso esperto che ti aiuta a capire che ci sono delle alternative migliori, forse altri tipi di scarpe sono più adatte a te, non devi per forza accettare una situazione che ti porta sofferenza. Ci sono alternative migliori al male e ce lo dice con un tono di minaccia, molto duro. Tendiamo ad essere più duri con le persone a cui teniamo di più.
Rimprovera così solo chi ama di un amore appassionato, anche un po’ ferito perché non ricambiato: Gesù infatti si rivolge alle tre città in cui è passato e non è stato accolto. Chi ama veramente vuole aiutare l’altro a tirare fuori la versione migliore di se stesso e spesso non bada alla forma purché ottenga di saperci felici, di strapparci all’infelicità che genera il peccato, accettando anche il rischio di perderci.
Perché il vero inferno è non vivere da figli amati, è l’indifferenza, la non accoglienza dell’altro (e dell’Altro). Possiamo scegliere se vivere nella paura, aspettandoci continuamente un castigo, o convertirci all’idea che la vita sia una benedizione e finalmente vivere come se tutto fosse una benedizione. Il solo giudice è Dio ed è un Dio misericordioso che non si rassegna finché non abbandoni tutto quello che ti fa sentire come se fossi “fatto male” o maledetto, che ti porta lontano dalla Sua presenza, dall’essere fatto a Sua immagine, dal ringraziare.
Questo è il suo modo di dirci che non dobbiamo per forza tenerci quel paio di scarpe che sembravano così belle ma con cui proprio non ci si riesce a camminare, non siamo fatti per vivere a metà.
Caterina Bruno
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Fonte: Get up and Walk – il vangelo quotidiano commentato