A volte mi capita di pensare a quanto sarebbe tutto molto più semplice se potessimo vedere com’è veramente dentro una persona, come si sta nella sua pelle. Nell’ipotesi più ottimistica riuscire a vedere che tutti ci portiamo addosso la nostra parte di impurità che ci divide, ci fa cadere a pezzi, ci renderebbe più compassionevoli gli uni verso gli altri. Oppure ci lasceremmo sopraffare dal senso di vergogna per noi stessi, fino a ferirci con uno sguardo di disprezzo?
Oggi sono io quel lebbroso, mi sento come una maledizione di carne, sono il rifiuto, una cosa rotta, sono la morte che contagia, e sono stanco, stanco di dovermi sempre tenere a debita distanza. Ho sentito parlare di te, ed è per questo che stavolta muovo un passo nella tua direzione. Oggi voglio essere quello che rovina con un tocco perché il tuo sguardo mi è insopportabile. Il tuo sguardo di commiserazione, di pietà, di disgusto, di indifferenza. Ma mentre mi avvicino capisco che non c’è nulla di tutto questo in te, e mi arrendo, cado su me stesso. E sei tu a toccarmi, a volermi toccare, a guardarmi con amore così come sono. Di colpo il dolore passa.
Il Signore non pretende che le cose siano perfette per iniziare ad amarle. Come faccio a non dire niente a nessuno di quello che mi è accaduto? Non c’è tempo da perdere per fermarsi a ratificare tutto, devo correre a dire a tutti che è già ora tempo di amarsi. Non mi accorgo che questa singola carezza il sacrificio l’ha richiesto eccome, e l’ha fatto quest’uomo che ora ha preso il mio posto al confine della morte, è rimasto lì ad aiutare altri a passare dall’altra parte della vita.
Caterina Bruno
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Fonte: Get up and Walk – il vangelo quotidiano commentato