Di questa scena colpisce la “spettacolarità”, in un certo senso. Questi uomini per far arrivare il paralitico da Gesù scoperchiano il tetto: è un esempio di dedizione e tenacia ammirevoli.
Forse tutto questo può insegnare qualcosa anche a noi: per arrivare da Gesù e chiedergli ciò che desideriamo non dobbiamo aspettare che tutte le circostanze siano sempre favorevoli. Ci sono difficoltà da superare, è necessaria anche una lotta, una fatica nel portare i nostri desideri davanti al Signore. In un certo senso è una prova: se davvero una cosa ci sta a cuore e la vogliamo, lottiamo per essa. Altrimenti, forse non sarebbe così importante. E il Signore ammira questo, perché è un’autentica testimonianza di fede.
Gesù, però, nell’accogliere il paralitico non lo guarisce immediatamente dal male fisico: prima di tutto perdona i suoi peccati, gli fa sentire, nella misericordia, di essere profondamente amato da Dio, al di là di tutto. Questa forse è la guarigione più vera e profonda di chi incontra il Signore: riceve un amore che poi può comunicare, indipendentemente dalla sua situazione fisica, sociale, umana.
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L’invito infine è a prendere il proprio lettuccio: anche dopo aver incontrato il Signore ed essere stati guariti siamo chiamati a farci carico della nostra storia. Non possiamo rinnegarla, nemmeno nei lati fragili e feriti, perché proprio quelli sono stati il luogo dell’incontro con la grazia di Dio.
Daniele Ferron SJ
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Fonte: Get up and Walk – il vangelo quotidiano commentato