Noi non ci vediamo, siamo ciechi. Andiamo in giro senza accorgerci di non vedere e giudichiamo il mondo e gli altri sulla base del poco che riesce a raggiungere il nostro occhio. A volte ci sentiamo anche immuni dalla possibilità di sbagliare su quel che crediamo vero e di cui siamo assolutamente certi.
Gesù ci fa notare che un cieco non può guidare un altro cieco e ci richiama ad un’umiltà di base. Un’umiltà che ci renda consapevoli che i nostri occhi sono esposti alla polvere, alle pagliuzze e anche alle travi. Un’umiltà che ci aiuti a mettere costantemente in discussione le nostre certezze, con lo sguardo e il cuore sempre aperto alla realtà.
È difficile mettere in discussione le proprie certezze. Spesso non siamo disposti a farlo, perché ci costringerebbe ad ammettere che non siamo come quel modello ideale di noi che ci siamo costruiti. Altre volte abbiamo semplicemente paura, poiché se i nostri piedi non poggiano su qualche certezza, il nostro equilibrio vacilla.
Ma non è l’abbandono radicale di ogni certezza che Gesù ci chiede. Piuttosto ci invita a quell’atteggiamento di fondo, umile, che ci faccia guardare senza pregiudizio, con gli occhi sempre totalmente aperti, agli altri, al mondo e a noi stessi. Questa apertura è fede.
Questa scoperta non è per giudicare noi stessi o gli altri perché non sono all’altezza delle nostre aspettative. Questa scoperta su noi stessi è la provocazione che ci invita ad andare più a fondo, per risalire alle esigenze profonde, elementari, dell’anima.
Allora pian piano iniziamo a unire i puntini, abbandoniamo progressivamente le idee preconcette per trovare una verità più grande su di noi e sugli altri. Scopriamo progressivamente il disegno che siamo chiamati a realizzare e in esso – e nel gusto che si porta appresso – cogliamo i criteri del nostro agire, affondiamo le radici.
Ettore Di Micco
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Fonte: Get up and Walk – il vangelo quotidiano commentato