Perché Gesù racconta questa storia di furbizia ed egoismo? Comʼè che sembra lodare la disonestà e la scaltrezza? Non era lui che ci aveva insegnato a perdonare sempre, senza condizioni, ad amare fino a scegliere lʼultimo posto, a dare fino a rimetterci, ad affidarci a Dio senza preoccuparci neanche del necessario, fino a diventare completamente liberi ed estremamente fragili? Che ce ne dobbiamo fare allora di questa prospettiva così mondana? Perché il Signore ci mette a confronto con «i figli di questo mondo» preferendo la loro scaltrezza, accusandoci quasi di essere troppo ingenui?
Se cʼè una cosa bella del Vangelo, è che non può essere in nessun modo schematizzato o ridotto a una filosofia o a un sistema etico. È una raccolta di storie, e quindi pieno di contraddizioni; una parte può confermarci in unʼidea, ed ecco ne arriva unʼaltra che subito ce la mette in crisi. È il dinamismo stesso della vita, in cui procediamo per passi avanti e passi indietro, tentativi, aggiustamenti, incontri, ripensamenti… Cristo non è una legge da applicare, ma un amico che ci guarisce, ci guida, ci aiuta a non incastrarci in nessun tipo di fissazione, fosse anche la più santa.
Con una storia del genere vuole forse metterci in guardia dal rischio dello spiritualismo disincarnato: a volte cʼè da essere cristiani non solo nelle preghiere e con la pazienza, ma anche sporcandosi le mani nelle azioni più compromettenti; a volte non bisogna aspettare una consolazione, un segno o qualcosa da Dio, ma lottare per essere felici, scegliere, prendere autonomamente. Spendersi al servizio degli altri, ma anche custodire il proprio; fidarsi, ma anche prestare attenzione; preoccuparsi delle intenzioni, ma anche dei risultati; curare lo spirito, ma anche il corpo…
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Il Signore ci vuole completamente suoi, ma anche completamente nel mondo.
Harambet
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Fonte: Get up and Walk – il vangelo quotidiano commentato