Nel giardino ci viene raccontato, più che l’arresto di Gesù, il suo lasciarsi trovare, l’offrirsi liberamente a chi lo cerca – esce anzi lui stesso, andando incontro a quelli che lo cercano. Colpisce la totale sproporzione tra la condizione in cui Gesù viene trovato, quella di un uomo pronto a consegnarsi da solo, senza violenza, e quella di chi vuole farlo prigioniero, il modo duro con cui lo vogliono prendere, con un’intera coorte di soldati romani.
Ecco un discepolo, Giuda, che sembra essere diventato uno strumento incosciente, passivo dell’azione di un altro, sostanzialmente trascinato nell’ingranaggio che, pure, ha contribuito attivamente a mettere in moto. La ripetizione della formula “sono io” dice l’altezza di un Maestro che usa tutta l’autorità che ha per consegnarsi. E il suo offrirsi, piuttosto che il suo lottare, ha un effetto sbaragliante. Gesù parla chiaro: ciò che sta accadendo è una cosa che riguarda il Padre e il Figlio.
Di Giuda non resta più traccia, l’azione passa poi ai soldati romani, poi Gesù interrogato da Anna e prima e dopo, uno dei suoi discepoli, Pietro, nega di conoscerlo: quanto contrasto tra le sue spaventate negazioni e la fermezza di Gesù che ripete “io sono”. E il fuoco acceso dai servi cui Pietro si avvicina per scaldarsi evidenzia il peso emotivo, relazionale di questo contrasto.
L’incontro di Gesù con Pilato è ancora una lotta, uno scontro tra una concezione del potere totalitaria e violenta e la misericordia dell’unico re, Gesù. In tutti questi eventi, la dignità regale di Gesù e il compimento che Egli dà delle Scritture si esprime come piena, totale capacità di dono.
Rimasto passivo nell’ultima fase del processo, Gesù ora si fa carico del suo destino prolungando il suo uscire andando incontro a quanti volevano arrestarlo, portandosi addosso la trave della propria crocifissione. E questo uscire troverà culmine estremo nella “consegna dello spirito”, nella fuoriuscita di sangue ed acqua dal costato. Ecco la sovrabbondanza del dono della vita.
Enrica Bonino s.a.