C’è una saggezza che ci tramandano il mondo e la cultura in cui siamo cresciuti, una saggezza che ci aiuta a far fronte alla vita e alle sue fatiche, a proteggerci dal male e a essere efficienti. Di per sé è buona e ci identifica, ci rende possibile orientarci tra le scelte, ma quella che ci presenta il Vangelo è un po’ diversa.
La saggezza, qui, è prima di tutto farsi carico della domanda di salvezza, chiedersi come sopravvivere alla morte e alla fine. È una domanda che nasce alle volte dal pensare al futuro ma che non può non avere risvolti nel presente: posso trovare già ora tracce di questa salvezza, di questa pienezza che Dio promette?
Nella parabola di Gesù le vergini vivono proprio questa attesa, sono consapevoli di vivere una mancanza che solo lo sposo, Cristo, può colmare; alcune, però, immaginano che l’attesa significhi solamente arrendevolezza e passività, altre invece capiscono che per Dio non siamo solamente oggetti da riempire, ma soggetti attivi, capaci di costruire assieme a lui la salvezza e di poter trovare la libertà di poter amare qui e ora.
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Attendere lo sposo non vuol dire certamente starsene con le mani in mano e pensare che la relazione con lui sia esclusiva e che non sia invece qualcosa che feconda tutte le nostre relazioni e ciò che facciamo!
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Fonte: Get up and Walk – il vangelo quotidiano commentato