Che cosa è il giudizio che viene tirato in causa? Gesù usa il linguaggio tipico del suo popolo per farsi capire, per comunicare con il suo popolo. Il giudizio, lo percepiamo anche noi un po’ così, dice qualcosa che avverrà alla fine dei tempi, come parola che definitivamente sigillerà il significato di ciò che abbiamo vissuto. È dunque un momento in cui non potrà esserci più appello, dove non potremo più rileggere il passato con una chiave diversa. Come una fotografia, il nostro passato sarà utilizzato per testimoniare come abbiamo vissuto.
È con questa istanza di definitività che Gesù sta chiedendo di misurare la nostra vita oggi, in questo momento. Il confronto ci aiuta a riconoscere se la vita che stiamo facendo è ciò che effettivamente desideriamo, oppure no. Questo è il punto: il nostro stare nel mondo dipende da come vogliamo stare nel mondo. La bellezza della nostra vita non è dettata dalle circostanze che ci capitano, bensì dalla decisione su come vogliamo starci dentro.
Questa decisione è quello spazio di libertà che nessuno può toglierci e a cui nessuno può sottrarsi. In altre parole, senza l’esercizio di questa intenzionalità, non potremmo aspirare alla libertà che tanto desideriamo. Vivere da persone libere ha a che fare con il prendere in mano la nostra vita e decidere come vogliamo viverla.
Gesù sta mettendo in dubbio un elemento sacro del suo popolo: il privilegio dell’elezione. Non basta essere popolo eletto per vivere una vita bella. Non c’è privilegio di fronte a Dio… Che per noi significa: non c’è uno sguardo benevolo di Dio che mi fa andare bene le cose della vita solo perché ogni tanto mi ricordo di dirgli una preghiera. C’è piuttosto un esercizio continuo che mi mette in contatto con la parte più sacra di me che custodisce l’intenzionalità con cui voglio vivere la mia vita: quando questo accade lì faccio esperienza di Dio. E la mia vita diventa bella․․․
Flavio Emanuele Bottaro SJ
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Fonte: Get up and Walk – il vangelo quotidiano commentato