Perché Gesù non compie prodigi per mostrare ai suoi compaesani chi è veramente? Perché si trattiene dal compiere quei segni che aprono loro le porte del Regno per lasciare intravedere la verità su di lui? Il credere in lui non è forse l’esito dell’aver constatato quello che sa fare di straordinario nella nostra vita?
A causa dell’incredulità, lui non compie prodigi. I suoi compaesani non possono credere che uno come loro sia capace di fare prodigi. Non credono che l’uomo non sia un essere divino. E allora Gesù lega il potere del suo agire al nostro credere. Come a dire che lui può solo ciò che noi vogliamo. La realtà che crediamo possibile è il luogo dove avvengono i prodigi che Dio sa fare. È una bella responsabilità che ci viene consegnata: è il suo modo per dirci che ci vuole protagonisti della nostra storia!
Il nostro modo di guardare la realtà rende possibile l’irrompere di Dio nella vicenda umana. Dio chiede il nostro aiuto per poter agire nel mondo. Se ci tiriamo indietro, non succede nulla. Lui, in quanto Dio incarnato, non può far altro che rivelarsi nella carne che siamo noi.
La sua incarnazione dice il suo desiderio di coinvolgerci nel compiere i prodigi. Attraverso uno sguardo pieno di compassione, attraverso un silenzio commosso e presente, attraverso un cuore che si lascia ferire dal dolore altrui. In quegli istanti diventiamo consapevolmente umani: la potenza di Dio irrompe nel mondo attraverso di noi e guarisce, salva, ridona speranza.
Ma quanto è difficile! Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria e in casa sua. Talvolta è proprio in casa nostra, dentro di noi, che non siamo capaci di uno sguardo misericordioso. Quante volte ci accusiamo, ci giudichiamo, pretendiamo da noi l’impossibile, non ci perdoniamo. Quante volte ci illudiamo di conoscerci così bene da non lasciare posto al mistero che siamo. Ed è proprio lì di fronte a quell’ignoranza inconsapevole che lui attende paziente di poter fare prodigi.
Flavio Emanuele Bottaro SJ