Il significato più profondo di questo titolo attribuito a Gesù («Ecco l’Agnello di Dio, colui che toglie [oppure: “che porta”] il peccato del mondo», Gv 1,29.35) va colto nel ruolo importante che, presso gli ebrei, l’agnello aveva nel rituale delle celebrazioni delle feste e nell’offerta dei sacrifici nel Tempio.
L’agnello richiama in modo particolare la festa di Pasqua. Il suo sangue sparso sugli stipiti delle porte delle case degli ebrei favorì la loro liberazione dall’Egitto (Cfr Es 12,21-28): perciò, celebrando questa festa, ogni famiglia ebraica consumava il suo agnello pasquale (Cfr Es 12,1-34). Inoltre nel Tempio di Gerusalemme ogni giorno, mattino e sera, i sacerdoti offrivano in sacrificio un agnello, in nome di tutta la comunità di Israele.
Questo stretto legame con la Pasqua e il suo ruolo essenziale nei sacrifici hanno contribuito a fare dell’agnello, nel Nuovo Testamento, il simbolo di Gesù che viene immolato sulla croce e che nella sua Pasqua di risurrezione opera la liberazione dell’umanità dal peccato e dalla morte.
Gesù è indicato con il titolo di «agnello» soprattutto nel libro dell’Apocalisse. Vi ricorre 22 volte come titolo pasquale che a lui compete per la vittoria sulla morte e per la sconfitta del peccato del mondo che lui, come agnello di Dio «ha portato» su di sé, annientandolo con il suo sacrificio sulla croce (Cfr anche 1Cor 5,7; 1Pt 1,19).
Primo Gironi, ssp, biblista