La parabola dei ragazzi che giocano riguarda gli «uomini di questa generazione». L’espressione è biblica e riguarda il popolo come ribelle alla volontà di Dio; sono quindi gli uomini che, ora, rimangono chiusi alla chiamata di Gesù e si pongono sotto la minaccia del giudizio finale.
La parabola si ispira a una scena conosciuta dagli ascoltatori: il gioco consiste nell’indovinare il senso di una pantomima, rispondendo con un’azione mimica. Se il mimo non era capito, i ragazzi dicevano: «abbiamo suonato il flauto per voi e non avete danzato…». L’immagine presenta quindi l’incapacità di alcuni nell’interpretare correttamente gesti diversi, gioiosi o tristi, messi in scena da altri. E dunque Gesù si riferisce a «questa generazione» che non capisce gli atti di Giovanni e di Gesù, a persone incapaci di cogliere la chiamata di Dio.
Il Battista è venuto come asceta, ma l’élite religiosa, simbolo di tutti coloro che si chiudono al disegno divino, non ha voluto comprendere il messaggio di penitenza svelato dal suo comportamento ascetico. Il Figlio dell’uomo invece inaugura la vicinanza del Regno di Dio come tempo della festa, instaura la comunione di tavola con i peccatori, ma viene giudicato un «mangione» e «bevitore di vino».
Mediante Giovanni e Gesù, Dio si è avvicinato all’uomo in modo diverso: come minaccia e giudizio; e come liberazione e gioia; l’incomprensione è stata la stessa da parte degli «uomini di questa generazione». Comunque «la Sapienza è stata giustificata dai suoi figli». Da questi ultimi, la Sapienza, cioè Dio nel suo disegno salvifico manifestato nelle opere di Giovanni e di Gesù, è stata riconosciuta nella sua verità.
Questi figli della Sapienza, per l’evangelista, sono i piccoli, innocenti, poveri, ignoranti, peccatori, «ai quali furono rivelate queste cose» (Lc 10,29); rappresentano la folla dei credenti.
Fonte: Gérard Rossé Vangelo secondo Luca, Città Nuova 2003, pp.81-82]