1ª lettura Is 58,7-10
dal Salmo 111
2ª lettura 1 Cor 2,1-5
Vangelo Mt 5,13-16
Domenica scorsa abbiamo sentito Gesù proclamare le beatitudini, cioè come egli vede i suoi discepoli e, naturalmente, tutti gli uomini, affinché la loro convivenza sia ricca di consolazione e di letizia. Infatti, là dove le persone si formano e si educano secondo quella sapienza, si vive la serenità, la gioia, la pace e la condivisione.
Perché questa sapienza si diffonda è necessario che qualcuno la viva con decisione e l’annunci senza decurtazioni. Nessuno riesce a farlo se non chi accoglie Gesù nel proprio cuore. Chi lo accoglie e vive con lui è suo discepolo e diventa “maestro” di vita, e consolazione per il mondo che lo circonda. Gesù ne è consapevole, e perciò ecco che oggi dice questa bellissima parola: “Voi siete il sale della terra”, e poi “Voi siete la luce del mondo”.
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Chi vive con lui ed è ubbidiente a lui diventa prezioso, indispensabile al mondo. Non sono parole vuote: ne costatiamo la verità guardandoci attorno. In un ambiente dove ci sono dei discepoli di Gesù c’è la possibilità di perdono e si diffonde amore e compassione, e soprattutto ci si può fidare di qualcuno. In quegli ambienti e in quei popoli dove Gesù è assente non c’è la possibilità di fidarsi di nessuno, nè ci si può confidare, nè si può sperare di trovare compassione per sè o per gli altri.
Gesù non vuole che i suoi diventino presuntuosi, e perciò continua con un ammonimento: il sale deve essere salato per essere utile. Il sale insipido non serve a nessuno e viene buttato. Così pure la lampada non serve a nessuno se è nascosta. Con queste semplici osservazioni Gesù vuol dire ai discepoli che essi devono davvero portare lui dentro di sè, altrimenti sono senza sapore, e lo devono lasciar trasparire senza nascondersi o mimetizzarsi, altrimenti sono inutili. Il sapore è lui, è la pienezza dell’amore di cui soltanto lui è portatore. La sorgente della luce è lui, deve essere messo in vista, altrimenti nessuno viene illuminato.
Noi abbiamo coscienza di essere poveri uomini, persino peccatori. Come può avvenire che la nostra vita sia utile al mondo in modo che esso acquisisca pace e sapienza dalla nostra presenza? Certo, noi sappiamo di essere deboli e fragili: la ricchezza non siamo noi, ma Gesù in noi, come tesoro posto in vasi di creta; il vaso rimane fragile, ma prezioso per il suo contenuto. Proprio questo ci dice San Paolo nella seconda lettura. Egli si presenta alla comunità di Corinto sapendo d’essere un uomo fragile, ma che porta in sè la ricchezza della presenza di Gesù, di quel Gesù che è stato crocifisso per amore. Un uomo che muore in croce è debole, ma, poiché muore amando, ci mostra e ci dona la grandezza e la forza dell’amore nel momento della sua massima debolezza. Noi non ci vergogniamo perciò nemmeno delle nostre povertà e miserie, ma ci vantiamo sempre e soltanto del nostro Signore, che portiamo nel cuore e nella mente e nelle opere volute da lui e che manifestano la sua sapienza.
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La prima lettura ci suggerisce alcune delle opere che manifestano l’essere di Dio, opere sociali che sollevano sofferenze e povertà: attraverso di esse manifestiamo il cuore amoroso e misericordioso di Dio: «Se toglierai di mezzo a te l’oppressione, il puntare il dito e il parlare empio, se aprirai il tuo cuore all’affamato, se sazierai l’afflitto di cuore, allora brillerà fra le tenebre la tua luce».
E Gesù conclude le sue piccole parabole esortandoci a lasciar risplendere davanti a tutti quell’amore che il Padre ha seminato in noi, così che egli possa manifestarsi attraverso di noi e di conseguenza altri lo possano conoscere e incontrare. Chi incontra il Padre sa di non essere solo al mondo e comincia a sperimentare la salvezza. Chi incontra il Padre gusta già le gioie del Paradiso!
Oggi offriamo la nostra preghiera per i cristiani che stanno testimoniando che la vita umana è dono di Dio, che ogni uomo, fin dall’inizio del suo percorso in questo mondo, è fratello da amare continuamente e da accompagnare con amore fino al suo ingresso in Paradiso. E offriamo a Dio Padre la vita di tutti quelli che, per accontentare la comodità e l’egoismo, vengono sacrificati o nell’utero della madre o nelle sofferenze incurabili. Su tutti invochiamo il nome santo di Gesù, che si lascia toccare da tutti gli infermi.