Iª lettura Gn 15,1-6; 21,1-3 dal Salmo 104 IIª lettura Eb 11,8.11-12.17-19 Vangelo Lc 2,22-40
L’accento delle letture di oggi è posto sull’obbedienza della fede vissuta da Abramo e da Maria e Giuseppe. Abramo e Sara ricevettero una promessa da Dio, e poi furono provati in un modo molto severo. Abramo fu più volte sul punto di dubitare della veridicità della Parola di Dio, e anche dopo aver avuto la dimostrazione che per Dio nulla è impossibile, ancora gli fu chiesto un gesto che ha dell’inverosimile. Era sicuro che Dio gli aveva chiesto di offrirgli in sacrificio quell’unico figlio che gli era stato promesso e accordato nella vecchiaia: obbediente, compì tutti i passi necessari per realizzare questa offerta.
Perché la Scrittura narra più volte questi episodi? Essi stanno alla base della nostra fede in Dio: Dio è Dio sì o no? La sua Parola è verità o inganno? Il comportamento di Abramo ha da dire qualcosa a noi oggi sul rapporto dei genitori verso i figli che arrivano o che non arrivano, e sul rapporto degli sposi tra loro?
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E l’obbedienza di Giuseppe e Maria alla Legge mosaica, obbedendo alla quale essi si recano al tempio di Gerusalemme, offre qualche suggerimento al modo con cui devono venire accolti oggi i nostri figli?
La Parola di Dio è per noi correzione e purificazione, sapienza, consiglio e orientamento, è indice per una strada di salvezza dell’individuo e della società intera.
I coniugi esprimono il loro amore reciproco nell’attesa dei figli. Se manca quest’attesa, il loro stesso amore è in pericolo, se non addirittura già povero, impastato di egoismo. Il vero amore orienta ad amare insieme, a donarsi non l’uno all’altro, ma a fondersi in uno per donarsi insieme ad altre persone, chiamandole alla vita!
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Se il figlio non arriva, mentre si attende, devono disperarsi? Assolutamente no, dice Abramo con la sua fede. Se il figlio non arriva è segno che dobbiamo ancora rimanere rivolti a Dio: egli può avere dei disegni speciali, che non conosciamo. Se egli ci fa attendere, è segno che ci vuol preparare con una fede a tutta prova, per offrire al figlio un ambiente umile, colmo di fede perseverante.
Quando il figlio arriva, come va accolto? Abramo ci dice: è un dono della misericordia di Dio! Il figlio va accolto con la consapevolezza che non è frutto della nostra fatica, nè della nostra intelligenza, nemmeno della nostra capacità. Va accolto ringraziando. Va avvolto in fasce tessute di umiltà, di riconoscenza, di sicurezza basata sulla Parola di Dio. Va nutrito di speranza, illuminato dall’ascolto della Parola di Dio.
Il coniuge come va osservato? Sia Abramo che Giuseppe ci dicono: vediamo la sposa come strumento dell’amore di Dio, luogo dove si manifesta la sua tenerezza, la sua misericordia e onnipotenza. Sara e Maria ci dicono: godiamo della presenza dello sposo, soprattutto della fede con cui egli sostiene la nostra debolezza. Abramo e Sara si amano tenendo lo sguardo fisso su Dio, per fare la sua volontà. Giuseppe e Maria si amano offrendo il Figlio a Dio con tutto il cuore, impegnandosi a vivere per lui.
Simeone, che li incontra, li aiuta a vedere solo il Figlio, a non pensare a se stessi, anzi a offrirsi per portare con fortezza la sofferenza che un Figlio di Dio può seminare attorno a sè. Ci sarà senz’altro chi lo amerà e lo apprezzerà, come sta facendo lui in questo momento, ma anche chi lo farà oggetto di rifiuto e di odio. La sua sofferenza sarà condivisa dai genitori, pronti anche a questo.
Noi oggi teniamo lo sguardo rivolto alla famiglia di Gesù, per trovare luce e forza nel vivere i nostri rapporti familiari. In essi ha molto peso il peccato di ciascuno. In molte famiglie la vita diventa impossibile, vita da albergo, vita da prigione, vita da ospedale, proprio perché il peccato rimane sovrano e nessuno pensa a metterlo al suo posto. Il posto del peccato sono le spalle di Gesù, agnello di Dio! Se lo teniamo noi, pesa su tutta la famiglia, e la rende luogo di sofferenza. Dobbiamo renderci conto che Gesù ha donato il sacramento del perdono per rendere i luoghi, dove viviamo insieme, luoghi di pace, di serenità, di esperienza dell’amore tenero e fiducioso. È importante il perdono reciproco in famiglia, tra gli sposi e tra i genitori e i figli, ma è ancora più fruttuoso il perdono del Signore nella Chiesa, per ricuperare la serenità e la capacità di amare portando un po’ della nostra croce. Molti pensano che gli psicologi possano sostituire i confessori: il perdono di Dio non può essere sostituito da qualche parola d’uomo. Per questo il frutto dell’uno o dell’altro è decisamente diverso.
Ringraziamo oggi Dio Padre per la nostra famiglia, lo ringraziamo guardando gli esempi e gli aiuti santi che egli ci pone innanzi: le famiglie dei suoi fedeli, come quella di Abramo e Sara, ma in particolare quella santa di Maria e Giuseppe, mette sempre Gesù al centro di ogni azione, di ogni desiderio, perché anche la nostra vita sia un dono, una benedizione per la società in cui siamo chiamati a vivere per diffondere sapienza e amore.