Iª lettura Ger 20,7-9 dal Salmo 62 IIª lettura Rm 12,1-2 Vangelo Mt 16,21-27
La rivelazione che oggi Gesù ci dona non piace a Pietro, è troppo distante dal suo modo di pensare, troppo diversa dai suoi desideri. Gesù ha rivelato che nella sua vita si sarebbero realizzate le profezie che riguardano il Servo di Dio, profezie che prevedono la sofferenza, il rifiuto da parte dei capi del popolo, la morte violenta e la risurrezione.
Per quanto riguarda la risurrezione Pietro sembra non l’abbia nemmeno udita: è un concetto da lasciare agli ultimi tempi, proprio alla fine. La sua attenzione si ferma alla sofferenza e alla morte.
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Possibile che un uomo che ha beneficato così tanta gente, che ha compiuto così tanti prodigi a favore di tutte le categorie di persone, che ha insegnato ad amare Dio come un Padre, possibile che venga rifiutato proprio dai capi del popolo?
Possibile che un uomo che ha persino risuscitato dei morti venga ucciso? Pietro non riesce a pensarlo, non lo capisce. Egli infatti sembra non avere molta familiarità con le Scritture, oppure è certo che le Scritture rimangono lettera morta chissà fino a quando! E così egli si sente in «dovere» di protestare: Gesù non deve parlare in quel modo.
Pietro prende Gesù in disparte per questo, come Gesù aveva preso in disparte il cieco o il sordomuto per guarirli. Il discepolo vuol fare da maestro al suo Signore, vuole insegnare a Gesù, come se fosse cieco! Egli assomiglia davvero all’angelo che ha voluto mettersi al posto di Dio ed è diventato Lucifero!
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Che cosa deve fare il Signore? Deve lasciar perdere? La cosa è tanto grave che non può esser lasciata cadere. Gesù perciò, con un atto d’amore forte e deciso, tratta Pietro come aveva trattato il diavolo che lo tentava nel deserto.
Ora qui infatti succede quello che era successo là: Pietro, con il suo rimprovero, vorrebbe distogliere Gesù dal compiere la volontà del Padre per vivere un messianismo facile, che raccoglie applausi tra gli uomini, ma che non offre se stesso in sacrificio per la salvezza di tutto il mondo. Gesù deve allontanare questo pensiero, e lo fa in maniera visibile e comprensibile a tutti, allontanando Pietro stesso, che se ne era fatto portatore.
E poi Gesù deve dire a tutti i discepoli che la loro strada non deve scostarsi dalla sua: “Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua”.
Chi vuol stare con Gesù deve non badare a se stesso, non preoccuparsi di conoscere o di accontentare se stesso, bensì conoscere lui e prendere come criteri per le proprie scelte la Parola sua, anche quando questa fa percorrere strade di sofferenza.
La croce non è un male, anzi, è il modo per essere conformati a Cristo stesso. San Paolo ci esorta “ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio”: e offrire i nostri corpi significa non accontentare i nostri desideri soddisfacendo i nostri piaceri, ma cercare di essere come Gesù, e come Gesù ci ha insegnato.
La mentalità del mondo, che spesso è anche la nostra, ci allontana da Dio, e quindi ci priva della gioia più vera e profonda. Non seguiremo perciò le mode di pensiero del mondo, le abitudini e le proposte che ci vengono dall’esterno. Noi vogliamo seguire Gesù e accogliere la sua Parola, che diventa luce e forza per nuovi modi di vita. Questo lo facciamo con gioia e con convinzione. Non possiamo più farne a meno, perché, come dice Geremia, il Signore stesso ci ha sedotto: con il suo amore quasi ci costringe a pensare come lui, perché ci accorgiamo che in questo sta la verità e la bellezza della vita.