Iª lettura At 9,26-31 dal Salmo 21 IIª lettura 1Gv 3,18-24 Vangelo Gv 15,1-8
La prima lettura ci narra il ritorno di Saulo a Gerusalemme dopo aver incontrato Gesù, che l’ha abbagliato e gli ha conquistato il cuore. È stato battezzato a Damasco da quella comunità, e ora viene a incontrare come cristiano quei cristiani che aveva perseguitato a morte.
Chissà cosa si attendeva il giovane convertito avvicinandosi agli apostoli e agli altri credenti! Forse applausi? Invece non trovò che diffidenza. Tutti avevano paura di lui, di lui non si fidavano. Dovette intervenire Barnaba, con tutta la sua autorevolezza di uomo sapiente e pio: egli lo aveva già conosciuto a Damasco e aveva goduto del cambiamento del suo cuore.
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Superata questa difficoltà, nella città santa Saulo incontrò una nuova prova: gli ebrei, a cui riusciva ad annunciare la sua fede nel nome di Gesù, tentavano di ucciderlo, cosicché la comunità dei nuovi credenti si vide costretta a farlo partire per la sua città natale, Tarso. Così lo misero al sicuro, e poi si dimenticarono di lui. Egli sperimentò così una seria potatura!
Attraverso questa sua esperienza comprese le parole che Gesù aveva affidato ai suoi apostoli durante l’ultima Cena. In quella occasione il Signore aveva parlato del Padre paragonandolo all’agricoltore che si avvicina alle viti con la forbice e, senza pietà, ne taglia i tralci secchi e quelli verdi li pota. Il giovane Saulo dovette sentirsi una vite che soffre duramente la potatura!
Il vignaiolo sa che il frutto della vite sarà più bello e più buono dopo tale potatura, e così anche il frutto spirituale della vita di un credente sarà maggiormente efficace per il Regno di Dio dopo che egli si sarà lasciato “lavorare” dal Padre.
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Ogni credente fa l’esperienza di una o più potature, che possono avvenire tramite circostanze provvidenziali: malattie, eventi che impediscono di compiere quanto si desidererebbe, di realizzare il proprio sogno riguardo alla professione o riguardo al formarsi una famiglia, pali tra le ruote o contrattempi di vario genere. Il credente sa che queste prove, che lo fanno soffrire ed esercitano la sua pazienza, sono conosciute dal Padre e sono guidate dal suo amore provvidente che vede molto più avanti della nostra intelligenza e del nostro desiderio. In ogni caso il credente, o, meglio, noi, cerchiamo di rimanere in pace, tranquilli e fiduciosi. Sappiamo, come dice San Paolo, “Che tutto concorre al bene per quelli che amano Dio” (Rm 8,28).
Rimaniamo uniti al Figlio di Dio, a Gesù, strettamente aggrappati a lui, che ha portato una croce che, invece di impedirgli di salvarci, gli ha permesso di realizzare pienamente la salvezza di tutti gli uomini. Uniti a lui, anche nella sofferenza causata dai contrattempi e dalle potature più pesanti, la nostra vita porterà frutto, un frutto maturo, gradito a Dio e utile agli uomini. Chi rimane unito a Gesù, benché talora non possa realizzare nulla che sia apprezzato dal mondo, la sua presenza, misteriosamente, sarà di grande utilità per molti.
L’apostolo che si sentiva particolarmente amato da Gesù, Giovanni, ci esorta a coltivare uno dei frutti immancabili in chi rimane unito al Signore: l’amore. L’amore va vissuto con tutte le nostre possibilità, a parole e a fatti. E i fatti che nascono dall’amore ci rassicurano di essere nella verità, sono una prova che siamo in Dio e che Dio è in noi.
Oggi quindi il Signore ci illumina il cammino: le prove e le croci non sono e non possiamo considerarli castighi, bensì segni dell’amore del Padre, che ci forma perché anche noi diveniamo capaci di amare come lui! Sperimenteremo così che dopo esserci uniti a Gesù nella morte di croce saremo uniti a lui anche nella gioia della risurrezione.