Iª lettura Sir 3,17-18.20.28-29 dal Salmo 67 IIª lettura Eb 12,18-19.22-24 Vangelo Lc 14,1.7-14
La lettera agli Ebrei ci fa notare una grande differenza tra il popolo dell’Antica Alleanza e quello della Nuova. Il primo aveva paura a stare alla presenza di Dio. La conoscenza che avevano di lui li terrorizzava. Noi invece, grazie a Gesù ovviamente, ci rallegriamo di avvicinarci a Dio: con lui sappiamo di trovare gli angeli e gli spiriti dei giusti, i santi e soprattutto il Mediatore dell’alleanza, cioè Gesù Cristo, nostro Signore. Egli ci ha fatto conoscere Dio come Padre, ce ne ha descritto l’amore, anzi, ce lo ha fatto gustare con la sua dolcezza, la sua misericordia, la sua attenzione a tutti, piccoli e grandi, poveri e ricchi, buoni e cattivi.
Anche nell’episodio raccontato nel vangelo di oggi vediamo Gesù, il Figlio di Dio, attento a quanti lo circondano. I suoi occhi sono sempre aperti, il suo sguardo semplice vede il significato di quanto si svolge attorno a lui. Egli vuole donare sapienza anche dove è invitato a pranzo, perché anche là, sotto le mancanze di galateo, si nasconde l’egoismo e la superbia dell’uomo. Anzi, Gesù vuole sempre orientare tutti al regno di Dio che è venuto ad annunciare. Dicendo infatti “quando sei invitato a nozze da qualcuno…” egli pensa all’invito che Dio stesso rivolge a tutti di partecipare alla sua gioia. Le nozze cui Gesù pensa sono certamente la festa della pienezza del suo amore per il popolo nuovo.
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Quando Dio ti invita al suo banchetto, non pensare di meritare qualcosa, non pensare di essere migliore di altri: se lo sei, egli certamente lo sa, quindi non ci perdi nulla a metterti all’ultimo posto! Queste parole in particolare erano rivolte ai farisei, che ritenevano di essere i primi davanti a Dio, e si sentivano sicuri della propria capacità di osservare le leggi. Da questa convinzione si lasciavano portare a sentirsi superiori agli altri, che disprezzavano. Per Dio è giusto e a lui gradito non chi è capace di osservare tutta la legge, ma chi ama il Figlio che egli ha mandato ad amarci, a perdonarci, a salvarci.
Chi ama Gesù quindi sa che a lui va il merito della propria salvezza ed è lui la causa della propria grandezza. Chi ama Gesù non sente il bisogno di farsi grande davanti agli uomini, perché per lui tutti sono piccoli e miseri. Vera grandezza dell’uomo è collaborare con Dio ad amare proprio le persone più deboli, incapaci, sofferenti. Perciò anche tu, quando vorrai dare un banchetto, farai come fa Dio, e vi inviterai coloro che non sono invitati da nessuno, coloro che non possono mai ricambiarti se non con le mani stesse di Dio.
La parola di Gesù, che fa eco e sviluppa quella della sapienza antica, è un’esortazione all’umiltà. L’umiltà piace a Dio, perché Dio stesso è umile. Gesù, quando ci invita a imitarlo, ci invita ad imitarlo proprio nell’umiltà.
Anche la Madre sua, Maria, sa di essere amata da Dio per l’umiltà. Umiltà non è un abbassarsi ignorando la propria dignità, ma è attribuire in verità a Dio ogni bene di cui disponiamo, perché da lui l’abbiamo ricevuto. Questa umiltà, che sa d’aver ricevuto tutto, diventa riconoscenza e poi desiderio di imitazione. Vogliamo diventare come colui che è stato generoso con noi: per questo con generosità cerchiamo di donare segni di amore là dove non avremo il contraccambio. Dai gesti di amore gratuito, dal tempo e dalle energie, donate senza ricompensa, viene a noi la gioia più serena e profonda, perché la gratuità ci rende partecipi dell’essere di Dio.