Mc 11,1-10 – 1ª lettura Is 50,4-7 dal Salmo 21 2ª lettura Fil 2,6-11 Vangelo Mc 14,1- 15,47
Oggi iniziamo la celebrazione con un momento particolare di preghiera: tenendo in mano rami d’ulivo ascoltiamo il racconto dell’episodio in cui i discepoli e grande folla hanno acclamato Gesù quale Re del popolo d’Israele, discendente di Davide.
Essi, al termine del pellegrinaggio, sono giunti in vista della città di Gerusalemme. Questo doveva essere un momento di particolare gioia per i pellegrini: erano arrivati alla meta del lungo e faticoso viaggio, e si disponevano a cantare i salmi, detti dell’ascensione, cioè dell’ultima salita che, su una lunga gradinata, li avrebbe condotti alla porta della città e del tempio.
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Gesù stesso ha preparato l’ultima tappa del cammino in modo da aiutare folla e discepoli a comprendere ciò che essi stavano già pensando di fare.
Essi lo volevano proclamare re, ed egli volle far capire in cosa consistesse la sua regalità. Egli è sì re, ma non come essi pensavano, un re che prende posto in mezzo ai grandi del mondo per esercitare il dominio e imporre la propria volontà. Egli è re, come hanno detto i profeti, un re mite, umile, che vuol mettersi al servizio di tutti, pronto quindi a dare la vita perché tutti si sentano amati, non da un uomo, ma da Dio stesso!
L’unico nemico del vero re non sono gli uomini, nemmeno quelli che detengono l’autorità e il potere, ma il diavolo: questi è un nemico che non sopporta l’umiltà e che viene vinto dall’umiltà. Ecco allora che Gesù si fa condurre un puledro. Su di esso non è mai salito ancora nessuno: così doveva essere per un re, perché al re si offrono solo cose nuove! Il puledro però Gesù lo vuole d’asina, animale mite, l’animale che non viene cavalcato per la guerra, ma solo per il servizio. In tal modo Gesù dà un messaggio eloquente che corregge le false attese.
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I mantelli e le fronde, stesi da pellegrini e discepoli sulla strada, erano pure un segno tipico con cui veniva accolto il re vittorioso, e il salmo cantato da tutti è quello che dice che noi non ci appoggiamo sulla sicurezza data dagli uomini, ma solo su quella che viene dalla mano del Signore, che sa usare la pietra scartata dai grandi della terra per iniziare le sue grandi opere.
Così Gesù entra nella città, e così egli entra nel nostro cuore, e ci prepara ad ascoltare la profezia di Isaia, la considerazione di San Paolo e la narrazione del Vangelo della Passione.
Isaia parla delle sofferenze che dovrà sopportare il servo di Dio.
Anche San Paolo parla dell’umiliazione cui si è sottomesso Gesù Cristo, pur essendo Dio. Egli non ha voluto essere un Dio potente, ma un Dio amante, un Dio che ama tanto da svuotare se stesso e obbedire fino alla morte. È per questo che noi ora lo acclamiamo, lo amiamo e ci impegniamo a seguirlo.
E, finalmente, il lungo passo evangelico ci fa riascoltare la narrazione delle ultime ore del Signore su questa terra. Veniamo portati ad adorare così il mistero dell’istituzione dell’Eucaristia, il mistero del suo tradimento, quello della sua condanna a morte e di tutta la passione da lui affrontata in silenzio.
Al momento della sua morte il centurione pagano, che era a capo dei soldati addetti alla crocifissione, arriva in modo sorprendente alla fede, e la dichiara pubblicamente: “Davvero costui era Figlio di Dio”. A questa professione di fede vogliamo unirci pure noi.
Credendo che egli è il Figlio di Dio, lo amiamo, gli doniamo la vita e ci predisponiamo a celebrare durante tutta la settimana in modo particolare la nostra fede. Pregheremo, confesseremo i nostri peccati consolidando passi nuovi di conversione, e ci avvicineremo ai nostri fratelli per celebrare insieme e con gioia la risurrezione del nostro Dio e salvatore.
Dio onnipotente ed eterno, che hai dato come modello agli uomini il Cristo tuo Figlio, nostro Salvatore, fatto uomo e umiliato fino alla morte di croce, fa’ che abbiamo sempre presente il grande insegnamento della sua passione, per partecipare alla gloria della risurrezione.