Prima lettura Dn 7, 13-14
dal Salmo 92
Seconda lettura Ap 1, 5-8
Vangelo Giovanni 18, 33-37
Gesù non ha rifiutato il titolo di re. Egli conosceva il linguaggio usato dai profeti e dai salmi, le promesse rivolte da Dio a Davide e ai suoi figli. Sapeva che tutto il popolo era in attesa del Figlio di Davide, il re d’Israele. Egli non poté né volle quindi ignorare questo titolo che Dio stesso gli rivolge in molte Scritture. Ma quando si trovò davanti a Pilato, per il quale le Scritture erano tabù, Gesù si sentì costretto a spiegare. Il re, di cui parlano le Scritture, non è un despota, non è uno che cerca i propri interessi, ma è colui che rappresenta Dio davanti agli uomini. È proprio lui il re che “deve” venire, e viene “cavalcando un asino”: egli è mite e umile e non ha nessuna intenzione di buttar all’aria i regni del mondo. Egli non farà uso di violenza, non guiderà eserciti, non suonerà trombe di guerra. La sua regalità non è tale da far concorrenza a quelle che ora spaventano e terrorizzano gli uomini. Egli è re, perché Dio vuole che lo sia: egli sarà un re che manifesta il vero volto di Dio.
La regalità che egli vive è una “testimonianza alla verità”. Anche noi gli chiediamo che cosa intenda per verità, e lo facciamo in modo da permettergli di rispondere, non come Pilato, che si vergognava di star a parlare con un uomo disprezzato e accusato dagli altri. Gesù aveva appena detto ai suoi discepoli: “Io sono la verità”, e aveva spiegato tale asserzione dicendo che lui ci manifesta il Padre, ce lo rivela in tutta la sua ricchezza d’amore e di misericordia. “Chi ha visto me ha visto il Padre” (Gv 14,9). La sua regalità perciò è molto diversa da quella che gli uomini temono, perché è fatta di dominio e violenza. Se qualcuno vuole piacere a Dio lo riconoscerà e gli obbedirà, ascolterà la sua voce e realizzerà la sua parola.
Pilato non capiva, o non voleva capire per non dover cambiare. Noi cerchiamo di accogliere Gesù come vero re. Io lo accolgo come mio re, tu come tuo re. Non è possibile fare altrimenti. Non aspettiamo che egli ci costringa, perché egli non vuole avere degli schiavi come sudditi, ma solo figli e fratelli. Egli vuole che anche noi siamo come lui, pieni di amore, perché tutto il suo regno deve manifestare il vero volto del Padre, tutto il suo regno deve portare nel mondo la novità dell’amore.
La festa di oggi ci rende consapevoli dell’identità di Gesù, ma ci vuole pure orientare nell’esercizio di qualsiasi autorità noi fossimo detentori o venissimo chiamati ad esercitare. Un discepolo di Gesù cui venisse affidato un incarico di autorità, in qualsivoglia ambito, ecclesiale soprattutto, ma anche civile e sociale, cercherà di viverlo nello spirito con cui Gesù visse la sua regalità. Nel mondo cristiano perciò l’autorità viene vissuta, – o dovrebbe venir vissuta -, come servizio, come atto d’amore, come luogo ove si manifesta la paternità di Dio.
Ci rendiamo conto che questo servizio non può essere facile, perché la tentazione del dominio continua a farsi presente ovunque, tanto più nelle situazioni dove è possibile comandare. Ognuno di noi però può impegnarsi nel suo luogo di vita, in famiglia, sul posto di lavoro, in ufficio, nel gruppo di amici, alla guida dell’automobile, in quei luoghi dove anche solo per pochi minuti o poche ore si sta davanti ad altri. Ci possiamo impegnare a considerarci servi della paternità di Dio, cosicché la sua “verità” risplenda e porti frutto di amore, di concordia, di pace.
La prima e la seconda lettura di oggi, Daniele e Apocalisse, ci parlano di Gesù, nostro re, con termini particolarmente solenni. Questi non ci devono né intimorire né metterci in soggezione. Egli infatti ci libera da ogni soggezione, perché è colui che fu trafitto, e colui per il quale “tutte le nazioni si batteranno il petto”.
Il fatto che Gesù è per noi il RE DELL’UNIVERSO ci dà pure serenità di fronte ai re e ai dominatori di questo mondo. Ci sono ancora, e ci saranno sempre, regni o governi che ci fanno soffrire, che ci scoraggiano, che impediscono una vita serena ai poveri e ai credenti, che sembrano divertirsi a promuovere e tollerare ingiustizie opprimenti. Continuano ad esistere uomini come Pilato nei posti di comando, uomini che mirano a comandare e non a servire. Non ci lasciamo spaventare. Noi serviremo il nostro vero re, continueremo a imparare da lui, daremo la nostra obbedienza a lui. Tutto quello che facciamo lo faremo per lui, e avremo la pace e serenità nel cuore, avremo la gioia di essere d’aiuto a molti, e il Signore Gesù stesso ci darà la giusta, anzi abbondante, ricompensa.
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