Prima lettura Isaia 53,2-3.10-11
dal Salmo 32/33
2ª lettura Ebrei 4,14-16
Vangelo Marco 10,35-45
“Accostiamoci con piena fiducia al trono della grazia, per ricevere misericordia e trovare grazia ed essere aiutati al momento opportuno”. Così la lettera agli Ebrei ci incoraggia e ci esorta ad aver confidenza in Gesù: egli non è indifferente alla nostra situazione di peccatori sofferenti, anzi, ha vissuto la nostra vita con tutte le prove di cui è costellata, ovviamente “escluso il peccato”, e in tal modo ha dimostrato la sua solidarietà verso di noi.
La sofferenza di Gesù non è dimostrazione di debolezza, ma occasione con cui egli si guadagna la nostra simpatia, anzi la nostra piena fiducia. Noi soffriamo a causa del nostro peccato, e Gesù, anche se non aveva peccato, si è addossato il peso della nostra iniquità: per questo la maggior parte del castigo meritato da noi è finito sulle sue spalle. Ecco perché noi ora lo guardiamo con attenzione e con sentimento di amicizia e gratitudine. La sua sofferenza non ci scandalizza affatto, non ci allontana da lui, anzi ci attira ad amarlo.
Egli sapeva dalle Scritture che avrebbe dovuto offrirsi a morire in sacrificio per realizzare la volontà del Padre di salvare gli uomini. Quando i due figli di Zebedeo gli hanno presentato il loro desiderio, Gesù ha capito immediatamente che essi avevano dimenticato qual era il vero ruolo del Messia, o non lo avevano mai compreso. Essi pensavano che sedere a fianco del Signore significasse avere un posto di onore e di comando, come l’avevano coloro che sedevano a fianco di Erode. Comprendevano il regno di Dio allo stesso modo dei regni terreni e mondani.
A Gesù non dispiace il loro desiderio di essere vicini a lui, anzi, ne gode, ma gli dispiace che pensino che stare con lui significhi accontentare ambizioni e sogni di vanagloria umana. Così pensavano e desideravano anche tutti gli altri apostoli, e così, spesso, pensiamo anche noi.
La risposta che il Signore offre ai Dodici è un dono grande. Li assicura che non è volontà di Dio che noi imitiamo o invidiamo i capi delle nazioni: essi fanno i loro interessi, anche dominando, opprimendo e facendo soffrire i propri sudditi, a loro piace comandare e arricchire. Noi invece, volendo essere figli di Dio, desidereremo la grandezza tipica di Dio. Dio è grande perché ama, perché si occupa dei piccoli e dei deboli, perché vuole che tutti siamo suoi figli, e fratelli dediti al bene dei fratelli.
Saremo grandi quando la nostra vita diventerà dono, quando serviremo il vero bene di chi soffre e di chi cerca la vita eterna. Imiteremo il Figlio di Dio e Figlio dell’uomo: egli ha evitato i posti di comando e si è offerto per liberare tutti dal castigo del loro peccato. Berremo il calice della sua sofferenza e saremo battezzati anche noi nel sangue, come lui.
Noi, membri della sua Chiesa, continueremo a offrire la nostra vita per la salvezza di tutti: parteciperemo così alla sua missione, quella di far vedere e far godere l’amore del Padre ad ogni uomo, soprattutto a coloro che ancora non sanno di essere amati da lui.
Anche noi realizzeremo la profezia di Isaia, che dice: “il giusto mio servo giustificherà molti”. Questi è ovviamente Gesù, ma noi gli apparteniamo, noi siamo le sue membra, noi viviamo la giustizia e il servizio con lui e come lui, e perciò anche noi parteciperemo alla giustificazione di “molti”. Non è forse questo il tuo desiderio più profondo? Daremo perciò l’addio ai desideri di vanagloria, ai tentativi di metterci in mostra per farci ammirare, e lasceremo crescere in noi l’umiltà cercando il nascondimento.
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